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Ginevra Elkann? I suoi film flop li paghiamo noi: quanto ci costano
Ginevra, la radiosa. Ginevra Elkann, figlia di Alain Elkann e Margherita Agnelli, sorella di John e Lapo, cresciuta tra Inghilterra, Francia e Brasile, regista tra Jane Campion e Celine Sciamma, è donna di talento cosmopolita e d’irreparabile bellezza. Che di irreparabile, poi, abbia anche la tendenza ad attrarre fondi pubblici a fronte di incassi minimalisti, be’, è un dettaglio affascinante. La notizia che la riguarda, però, è tutt’altro che cosmopolita. Lo Stato italiano ha speso quasi 3 milioni di euro, chez il ministero della Cultura targato Dario Franceschini, per sovvenzionare i film della rampolla. Trattasi di 2.828.044,32 euro tra crediti d’imposta e contributi a fondo perduto, destinati a due pellicole: Magari e Te l’avevo detto. E le due case di produzione di proprietà della terzogenita, “Asmara Films” e “The Good Films” – socio Lapo, almeno per un po’ - non sono mai state un grande esempio imprenditoriale, anzi; epperò hanno beneficiato di più di 300mila euro tra sviluppo, produzione e distribuzione delle pellicole insieme ad altre aziende del settore.
GRAZIOSA OPERA PRIMA
Magari, l’opera prima, narra la storia «di una famiglia allargata e decisamente anticonvenzionale e di come possa esserci un equilibrio anche nel disequilibrio»; ed era, dal punto di vista della regia e della sceneggiatura, un bel film. Ne scrivemmo in molti, avvalorati dalle multicandidatura al David di Donatello e al Nastro d’argento (che però, alla fine non arrivarono, il contrario di C’è ancora domani della Cortellesi...). Andando nello specifico, il film suddetto ha beneficiato di 692.711,12 euro sotto forma di tax credit e 400mila euro come contributi selettivi di produzione, per un totale di 1.092.711,12 euro. E ha guadagnato «nelle prime 12 settimane di programmazione 12,4 mila euro e 25 euro nel primo weekend». Ma parliamo del 2020/2021 con le sale che soffrivano il post- Covid.
Infatti, quando Ginevra – bontà sua e dello Stato - ci riprova con, appunto, Te l’avevo detto (il titolo originale probabilmente era più lungo e wertmulleriano, Te l’avevo detto che, anche se gli abbiamo tirato una sòla, Franceschini ci avrebbe dato altri soldi...), il nuovo sovvenzionamento della pellicola è di 1.735.333,20 euro sotto forma di tax credit e al box office. Qui il Covid è sparito. Ma Te l’avevo detto incassa 117.458 euro. Sicché la sua trama che si snoda tra ossessioni per pornostar, stalkeraggi materni, riscaldamento globale e crisi grottesche dell’alta borghesia si divincola fra la magnificenza della cinepresa e il cappio dell’incasso infinitesimale, ben 15 volte inferiore al contributo pubblico. Nella fremente attesa dell’ultimo capitolo della trilogia alla Sergio Leone griffata Elkann, intanto cambia il governo e, al posto di Franceschini, a capo del Ministero della Cultura arriva Genny Sangiuliano. Il quale Sangiuliano si rende conto che qualcosa nel sistema dei finanziamenti pubblici cinematografici non torna. Negli ultimi 4 anni, la loro diffusione si è accompagnata da pagamenti milionari ai registi, e dall’uso incontrollato del Tax credit, ossia di un credito pari al 40% dei costi ammissibili di produzione (per quelli non indipendenti, il credito è del 25%). Che, di per sé sarebbe un’agevolazione giusta, ma la sua quadruplicazione rispetto al 2019 induce più d’un sospetto. Inoltre, spicca, appunto quella faccenda delle pellicole destinatarie di grossi fondi ma che, proiettate in sala per un numero limitato di giorni si pregiano di un pubblico di pochi appassionati, in alcuni casi dalle 14 alle 30 persone. Poche, ma competentissime.
L’OCCHIO DELLA GDF
Comunque, il fatto che siano sotto l’occhio della Guardia di Finanza almeno una ventina di opere con budget curiosamente elevati nonostante il formale rispetto dei requisiti tecnici; be’ è senz’altro il preludio del cambiamento. L’idea, credo, del governo sia quella di azzerare “l’effetto Terrazza alla Ettore Scola”, il luogo del potere dove l’amichettismo culturale della sinistra descritta da Fulvio Abbate trovava le via dell’arte e dell’arte del finanziamento sodale, più che solidale. Altra faccenda quella dei registi strapagati. Attualmente, secondo un report Adnkronos, «nel 2017, ammontavano a 423,5 milioni, ma nel 2022 hanno raggiunto la cifra di 849,9 milioni, per poi scendere a 746 milioni nel 2023». I nomi sono sfavillanti. Ad esempio, per la seri A casa tutti bene, finanziata con 2,1 milioni dal Fondo attraverso il credito d’imposta, Gabriele Muccino ha dichiarato un compenso di 2,2 milioni di euro. Paolo Genovese, il regista della serie I Leoni di Sicilia, basata sulla saga dei Florio ha indicato un compenso di 1,4 milioni di euro su finanziamenti per un totale di 8,7 milioni di euro dal Fondo attraverso il credito d’imposta. Ecc ecc. Qua non si tratta di abolire i fondi né di abolire Ginevra Elkann, per carità. L’arte va nutrita. Però se l’Italia ha prodotto un numero elevato di opere di lungometraggio (239 nel 2021), e gli incassi sono notevolmente inferiori rispetto a Francia, Regno Unito e Germania; be’, urge uno straccio di revisione...