Schieratissimi
Domenica In, "non va bene". Ghali e lo "sfregio" a Israele, lo studio esulta
All'improvviso lo studio di Domenica In si trasforma in tele-Palestina. Forse addirittura Tele-Hamas. Tutti in piedi per Ghali, tutti ad applaudire il rapper milanese di origini tunisine che ha appena ribadito il suo attacco a Israele e all'ambasciatore israeliano Alon Bar.
Poche ore prima, il diplomatico aveva contestato al cantante, arrivato quarto sabato sera al Festival di Sanremo con Casa mia, la sua frase "Stop al genocidio" pronunciata sul palco dell'Ariston come ultimo messaggio prima di congedarsi dal pubblico. Un riferimento chiaro a quanto sta accadendo a Gaza, dopo le polemiche sollevate in settimana dalla comunità ebraica milanese.
Il palco del Festival è "stato sfruttato per diffondere odio e provocazioni in modo superficiale e irresponsabile", ha attaccato Bar. A Domenica In speciale Sanremo chiedono conto di queste parole a Ghali, che replica secco: "Mi dispiace che abbia risposto in questo modo, c'erano tante cose da dire. Ma per cosa altro avrei dovuto usare questo palco? Io sono un musicista prima di salire su questo palco: ho sempre parlato di questo fin da quando sono bambino".
La Venier approva: "Siamo tutti per la pace su questo non ci sono dubbi". "È da quando ho 13-14 anni che parlo di quello che sta succedendo nelle mie canzoni. Sono nato grazie ad Internet e non è dal 7 ottobre che ne parlo, questa cosa va avanti già da un po'".
I giornalisti sul palco applaudono convinti, annuiscono, gli fanno il gesto del pollice. "Il fatto che l'ambasciatore parli così non va bene - incalza Ghali -, continua la politica del terrore, la gente ha paura di dire stop alla guerra, stop al genocidio, stiamo vivendo un momento in cui le persone sentono che vanno a perdere qualcosa se dicono viva la pace. Ci sono dei bambini di mezzo: quei bambini che stanno morendo, chissà quante star, quanti dottori, insegnanti, quanto geni, ci sono lì in mezzo". Nessuno, né sabato sera né oggi, ha semplicemente sollevato il dubbio che un tema così complesso possa essere affrontato in una sede più opportuna, senza ricorrere a slogan. E magari con un dibattito, questo sconosciuto.