Intervista

Massimo Lopez non si nasconde: "Ecco cosa penso del Gay Pride"

Daniele Priori

Dove eravamo rimasti. Si intitola così il nuovo show nel quale Massimo Lopez e Tullio Solenghi tornano in scena in coppia in una delle loro tante reunion artistiche. Una sodalizio professionale e umano che risale al 1982, anno di nascita del Trio, oltre quarant’anni fa, che ha visto per oltre dieci anni i due attori in scena assieme ad Anna Marchesini, scomparsa nel 2016. In questi giorni, da domani fino a Capodanno, il duo sarà in scena al Teatro Manzoni di Milano, sempre accompagnato dalla band del maestro Gabriele Comeglio «un grande musicista che conobbi proprio andando a Lugano a registrare un brano con Mina di cui lui era arrangiatore (Noi, lo storico duetto dell’attore con la Tigre di Cremona nel 1994, ndr), da allora anche lui è una presenza costante nei nostri spettacoli», ci racconta Massimo Lopez che incontriamo a Genova, città d’origine di Solenghi e di formazione artistica per Lopez.

Il Trio Solenghi-Marchesini-Lopez si è sciolto nel 1994 senza in realtà disunirsi mai nell’immaginario collettivo. Ci racconti il segreto di questa sorta di eternità che vi è toccata in sorte.
«Fui addirittura io a provocare questa separazione, arrivata perché pensai che, dopo tanti anni col costante appuntamento quotidiano che ci vedeva trascorrere dieci ore assieme ogni giorno, poteva esserci il rischio di un calo della creatività. Mi accorsi, però, che nessuno aveva il coraggio di proporre una interruzione così fui io a dire che avremmo dovuto darci appuntamento a tre o quattro anni dopo, per ricominciare più carichi con un po’ di energia nuova. In privato però non ci siamo mai persi».

 

 

La reunion arrivò, anche sedi anni ne passarono un po’ più di tre o quattro...
«Sì facemmo lo spettacolo Non esiste più la mezza stagione (andato in onda in prima serata su RaiUno in tre serate nel marzo del 2008, ndr). In realtà poi alla Rai proponemmo anche di fare l’Odissea nello stesso stile con cui avevamo realizzato I Promessi Sposi nel 1990. Parlammo con i vertici Rai ma ci dissero che non c’era più il budget per fare un’opera così importante. Capimmo che forse erano rimasti un po’ spiazzati”».

Eppure I Promessi Sposi fu un successo sottolineato da 17 milioni di telespettatori!
«Sì ma non pensi che sia stato facile farci accettare anche quell’idea. Trascorse più di un anno prima che alla Rai si convincessero definitivamente, lasciandoci fare lo spettacolo come dicevamo noi, con cinque episodi da un’ora ciascuno».

Dove eravamo rimasti è anche una citazione di Enzo Tortora. Casualità o c’è una ragione specifica?
«Il Dove eravamo rimasti è legato proprio al fatto che volevamo mantenere lo stesso stile dello spettacolo precedente. Avremmo potuto scegliere di fare una commedia, invece abbiamo deciso di rimanere in uno stile uguale, con ingredienti naturalmente nuovi, tenendo però sempre sketch, musica e continuiamo così in una sorta di seconda edizione. Dove eravamo rimasti può alludere anche al periodo del Covid che ci ha fermato ed è certamente anche la citazione famosa di Enzo Tortora che spesso Tullio cita imitandolo. Quindi c’è stata una coincidenza piacevole. A noi per primi fa piacere ricordare anche la figura di Tortora».

Quanto manca e quanto è presente Anna Marchesini in questa nuova reunion?
«Anna è una presenza costante. Noi la percepiamo, la sentiamo. Il rapporto amicale tra noi è diventato anche il marchio di fabbrica della comicità che portiamo in scena. Per cui, anche se siamo solo due è un po’ come se fossimo in tre».

Oltre la famiglia allargata del Trio, lei ha lavorato tantissimo anche con i suoi due fratelli di sangue. Ci racconti un po’ questo sodalizio famigliare e artistico nel contempo.
«Io ho avuto cinque fratelli. Giorgio purtroppo è mancato di recente. Lui era la mia guida artistica. Faceva l’attore anche lui. Fu lui a spronarmi a fare il famoso provino che poi mi fece iniziare il lavoro al Teatro Stabile di Genova. Lavorammo insieme anche nel doppiaggio. Lui era la voce di Dustin Hoffman, Danny De Vito e tanti altri attori. Alessandro invece è il più giovane. Con lui dal 1992 ci siamo uniti per fare produzione. Grazie a lui sono riuscito a fare la famosa campagna Telecom “Una telefonata allunga la vita”. Abbiamo sviluppato una sinergia straordinaria. Ha prodotto diversi spettacoli e da Ciao Frankie in poi l’innovazione che ancora conserviamo della band musicale sul palco».

Nella sua carriera da attore imitatore c’è una galleria infinita di personaggi coi quali si è confrontato artisticamente. Ce n’è qualcuno a cui è particolarmente affezionato?
«Maurizio Costanzo col quale c’è stata anche un’amicizia. Ho potuto scoprire l’uomo. E ho capito che a lui piaceva molto l’idea che lo imitassi tanto che mi promosse sul campo, in una puntata del Maurizio Costanzo Show, suo imitatore ufficiale. Per questo ancora oggi, anche se è mancato, mi piace ricordarlo».

 



 

E tra gli attori internazionali che ha doppiato?
«Mi sono immedesimato tantissimo in Colin Firth nel film A single man. Nella discrezione con cui il suo personaggio si proponeva dopo l’incidente accaduto al suo compagno. Come mi sono divertito a doppiare Mike Myers nel film Austin Powers -La spia che ci provava dove mio fratello Giorgio era direttore del doppiaggio. Ci buttammo con creatività nell’adattamento dei testi. Ultimamente è stato divertente doppiare Andy Garcia nel film Mamma mia! Ci risiamo».

A proposito di discrezione. Lei è noto per essere riservatissimo sul suo privato. Le posso chiedere il perché di questa scelta?
«Ognuno di noi reagisce in un certo modo. È qualcosa che viene da sé e nonostante sia un attore e una persona pubblica sento proprio il bisogno di stare a casa ed essere una persona anonima. Decido io quando e se dire qualcosa, mandando dei segnali magari in un’intervista».

Recentemente un settimanale ha frainteso le sue parole e da “eterno single” è diventato nel titolo “etero single”. Lei ha corretto su instagram sostituendo la parola “uomo”. Perché?
«L’ho fatto perché non amo le etichette di nessun tipo che spesso vengono per lo più strumentalizzate».

Non mi dica che anche lei è un antesignano della “fluidità” così di moda...
«Devo prima capire bene cosa significa (sorride, ndr). Io penso che possa anche essere la reazione dei ragazzi di oggi di fronte al rischio di autoghettizzazione che c’è anche nei gay pride. Al quale i giovani rispondono definendosi fluidi. Anche perché in effetti nessuno va dai propri genitori a dichiarare: mamma, papà sono etero. Quindi, pur capendo le battaglie per la visibilità, mi chiedo: perché, non essendo un problema, uno debba sottolineare una diversità che diventa come qualcosa di non giusto».

La tv del Trio e quella di oggi a confronto. Lei la riconosce?
«È tutto cambiato. Mi sembra diventata una lotta tra disperati all’insegna del sensazionalismo. A me fa effetto vedere i servizi tragici sulla guerra con la musica sotto. È tutto costruito. Per questo la gente, paradossalmente, prova a informarsi sul web, sui social perché li percepisce come qualcosa che è più vicino».