Il giornalista
Rai, Francesco Giorgino: "Evoluzione naturale, TeleMeloni non esiste"
«Chi parla di TeleMeloni opera un eccesso di semplificazione. Come avviene spesso in questi casi, si producono suggestioni senza interpretare davvero a fondo la realtà». Ad essere sinceri, nella nuova Rai «nessuno ha licenziato nessuno. Il management aziendale ha solo deciso di aggiungere volti, programmi e sensibilità nuove, senza togliere chi già lavorava. È questo ciò che fa la ricchezza del servizio pubblico televisivo. Non ci sono state epurazioni in questa stagione. Chi è andato via lo ha fatto per una propria rispettabile scelta individuale». A parlare, con Libero, è Francesco Giorgino che, par di capire, sposa appieno la linea dei vertici di viale Mazzini.
Del resto, parliamo dell’uomo che la nuova Rai ha collocato nella seconda serata del lunedì di RaiUno a presidiare la zona di palinsesto in cui «il presente diventa futuro», che è poi il claim della neonata trasmissione di approfondimento XXI Secolo, condotta proprio dal giornalista pugliese, direttore dell’Ufficio Studi del servizio pubblico radiotelevisivo, già mezzobusto storico e vicedirettore del Tg1. Alla guida del nuovo spazio Giorgino sta ottenendo ottimi risultati di ascolto (picchi di share al 12% e una media costante tra l’8 e il 9%). Il conduttore, però, resta umile, anzi rilancia convinto, puntando l’attenzione proprio sulla insufficienza degli indici di ascolto che, anzitutto, lo ricorda lui stesso,«“sono figli di indagini campionarie nate a fini pubblicitari» (le famiglie Auditel sono 16mila100 circa ndr). Servirebbe «una riflessione più ampia che recuperi anche la dimensione qualitativa, oltre quella meramente quantitativa».
Nella puntata in onda stasera alle 23,30 il tema centrale sarà l’Intelligenza Artificiale. Francesco Giorgino ne parlerà con l’amministratore delegato di Leonardo, Roberto Cingolani, con l’esperto italiano di AI presso le Nazioni Unite, padre Paolo Benanti, con Bruno Vespa e il professore di fisica Vincenzo Schettini (con loro si parlerà dell’apporto della cultura del libro nell’era del digitale) e da ultimo nella parte del programma dedicata all’infotainment arriverà l’attore Giorgio Panariello.
Qual è la formula del successo di XXI Secolo?
«Credo sia la contaminazione di tre grandi linguaggi: quello delle immagini con i reportage, il linguaggio dei dati non così frequente nella televisione generalista e il linguaggio della parola che non utilizzo però nella modalità classica dei talk, ma come approfondimento senza contrapposizione. C’è un conduttore che interagisce e incalza gli ospiti, rappresentando anche le obiezioni della parte avversa. Nella prima parte c’è un rappresentante politico, nella seconda un rappresentante del mondo delle aziende o della società civile, insomma un opinion maker o un soggetto impegnato nella rappresentanza degli interessi dell’Italia nel mondo, dunque capace di veicolare anche l’idea di un Paese, che - secondo la mia opinione - è molto più effervescente di quanto si pensi, che ha aspetti molto più positivi di quello che abitualmente viene fuori nella sfera pubblica mediata. Raccontiamo, quindi, l’Italia migliore, senza trascurare mai i problemi degli italiani, anzi partendo proprio dall’attualità, volendo sviluppare sempre e comunque uno sguardo prospettico verso il futuro».
Come ha vissuto tutti i cambiamenti degli ultimi due anni? I retroscena parlano di un addio traumatico al Tg1. È vero?
«Il mio programma ha come “quando il presente diventa futuro“ non “quando il passato diventa presente“. Detto questo, non c’è stato nessun trauma. Si è trattato di un cambiamento tutto sommato fisiologico. Parlerei di un’evoluzione naturale. Dopo anni e anni di Tg1 era arrivato il momento di cambiare e l’ho fatto prima andando a fare il vicedirettore della Direzione Offerta informativa, e poi, da maggio scorso, assumendo la direzione dell’Ufficio Studi della Rai, incarico che ho accettato con entusiasmo anche per la mia attività accademica in Luiss. A seguire i vertici aziendali mi hanno anche chiesto di tornare in video e così mi sono messo al lavoro per disegnare questo nuovo programma che è appunto XXI secolo».
La vicenda del sindacato Rai di destra è un’altra semplificazione politica o c’è di più?
«È un’altra semplificazione politica, direi. L’evento di presentazione di UniRai ha visto la partecipazione di esponenti di centrodestra, ma anche di centrosinistra e del M5S. Il convegno è stato concepito e condotto come una grande occasione di riflessione su presente e futuro del servizio pubblico. Su quelle che saranno le sfide dell’azienda nei prossimi anni, con la trasformazione in digital media company. Vi è poi l’adeguamento della modalità di gestione delle relazioni sindacali anche in ordine a quelli che sono i nuovi profili lavorativi aziendali. Un tema sul quale, peraltro, sto lavorando come direttore dell’Ufficio Studi assieme al settore Risorse umane proprio per capire di cosa l’azienda ha bisogno in termini di job profile per essere un servizio pubblico sempre più moderno. Personalmente, dunque, non ho vissuto la mia partecipazione come la volontà di fare politica o di attaccare l’Usigrai, ma come l’interesse ad affermare il principio della libertà sindacale e il diritto di portare avanti una visione alternativa a quella consolidatasi finora».
Lei fu un precursore dei giornalisti a tutto campo conducendo 20 anni fa il DopoFestival a Sanremo. Cosa pensa di quella che il critico Aldo Grasso ha definito la “sanremizzazione” del Tg1?
«Non entro mai nel merito delle libere valutazioni dei critici televisivi. Posso dire, però, che nel momento in cui si modificano i tradizionali criteri di notiziabilità, la fase della selezione del materiale notiziabile e con essa la fase della gerarchia, può anche capitare che Sanremo diventi notizia d’apertura. È un po’ la conseguenza del cambiamento che sta accompagnando da un lato i cosiddetti media mainstream e dall’altro i new media. Da studioso non sono stupito di questa cosa».
A XXI Secolo non fate talk tradizionale ma, guardando in casa d’altri, non potrebbe essere semplicemente che il martedì sera ce ne sono semplicemente troppi e tutti in contemporanea?
«Il martedì è una giornata che segna un grande affollamento di prodotti editoriali con linguaggi giornalistici più o meno simili. Anche io, però, vado in concorrenza con altri prodotti interni dell’azienda di lunedì in seconda serata. Lo ritengo sfidante. È come se facessi una call to action al singolo telespettatore in un panorama altamente competitivo. Per questo ho provato a fare una cosa diversa dagli altri...».
Senta, lei al Tg1 ha raccontato l’elezione di Papa Francesco e la prima volta di un di un presidente della Repubblica al secondo mandato. Quale sarebbe la prossima grande notizia che le piacerebbe dare?
«L’elezione di un presidente della Repubblica donna».