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Massimo Gramellini, sicuri che tutti griderebbero "viva la mamma?"

Alberto Busacca

Nella sua rubrica sul Corriere della Sera, Massimo Gramellini, in versione La7, ha criticato gli agenti che hanno identificato il loggionista che alla Scala ha gridato «Viva l’Italia antifascista!». «Vi immaginate», ha scritto Gramellini, «se qualcuno avesse gridato “Viva la Germania antinazista” in un teatro tedesco e quattro poliziotti lo avessero avvicinato per chiedergli i documenti?». Paragone interessante, ma bisognerebbe anche chiedersi: perché in un teatro tedesco non capita che qualcuno gridi “Viva la Germania antinazista” e invece in un teatro italiano capita che qualcuno gridi “Viva l’Italia antifascista”? Perché qui da noi l’antifascismo è ancora usato come un grimaldello per colpire l’avversario politico? Nel finale del suo pezzo, poi, Gramellini auspica che “Viva l’Italia antifascista” diventi «un modo di dire condiviso e persino banale. Come gridare “Viva la mamma”».

Paragone interessante anche questo. Ma siamo sicuri che oggi in Italia tutti sarebbero pronti a gridare “Viva la mamma”? Siamo sicuri che qualcuno non lo vedrebbe come un grido discriminatorio nei confronti dei bambini che hanno solo due padri? Ricordiamo ad esempio che a marzo una scuola di Lamezia Terme ha abolito le feste del papà e della mamma perché non tutti i bambini hanno entrambi i genitori e alcuni anni fa la stessa cosa era accaduta anche in un asilo di Roma.

 

 

E poi, più di quello che dici, conta sempre anche come, quando, dove e perché lo dici. Immaginiamo un contestatore che interrompesse una conferenza sulla maternità surrogata (o utero in affitto...) urlando a squarciagola “Viva la mamma”. Sarebbe un grido «condiviso e persino banale» o in quel caso diventerebbe una classica “provocazione fascista”? La Digos chiederebbe o no i documenti dell’ipotetico contestatore in questione? E Gramellini, nella sua rubrica, si indignerebbe o no?