Retromarcia

Disney, il politicamente corretto sta affondando: Biancaneve torna bianca

Francesco Specchia

C’è un sinistro, quasi fiabesco destino nella crisi finanziaria e culturale della Walt Disney Company. Non esistono più castelli fatati e nuvolette azzurrine per i bilanci del colosso americano. Triste, solitario y final. La causa dell’apocalisse, secondo l’amministrazione delegato Bob Iger, «esausto e sopraffatto dalla debacle» starebbe nell’eccesso di politicamente corretto. Iger, per capirci, è considerato il cavaliere Jedi del business americano; era stato richiamato a novembre dalla pensione, dopo la precedente gestione di Bob Chapek, per salvare l’aziendona. La sua strategia di «crescita rinnovata» ha portato ad imperfetti tagli col machete: 7000 dipendenti affossati dall’effetto woke in cui annaspa l’azienda. Woke. Ovvero la stessa ideologia che, secondo i recenti report di Bloomberg, ha fatto perdere alla Disney 900 milioni di euro; e tutto ciò semplicemente a causa degli ultimi film non esattamente all’altezza delle aspettative. In più, s’aggiunga il calo di DisneyWorld e il ribasso di abbonati alla piattaforma streaming Disney+. Il tutto –secondo i sociologi e gli esperti di marketing- è causato, per l’appunto dall’interpretazione iperliberal della realtà. Una realtà adattata ad uso delle minoranze rumorose. C’è la Sirenetta nera interpretata da Halle Bailey che si scontra con la tradizione tutta danese dell’autore Hans Christian Andersen, il quale oggi si rivolterebbe nella tomba.

UN FRULLAR DI SCUSE
C’è la famiglia omo–lesbian composta da due donne bacianti con figlioletto annesso di Lightyear. C’è l’azione ammosciata nel qualunquismo dell’ultimo Indiana Jones e il quadrante del destino. Ci sono i gatti siamesi eliminati da Lilli e il vagabondo in nome del rispetto della disabilità e la fata madrina di Cenerentola genderless nel live action interpretato da Billy Porter. C’è, un Peter Pan probabilmente razzista, dove gli indiani sono chiamati «pellerossa», e vengono rappresentati in abiti tradizionali mentre parlano una lingua incomprensibile (come è nella realtà). C’è, perfino, il remake de La Bella e la Bestia, dove è stata tralasciata l’incongruenza storica dovuta ad alcuni personaggi afroamericani perfettamente inclusi in una società ottocentesca; mentre è stata, invece, inserita velatamente una storia d’amore omosessuale.

 

 


Woke, woke woke all’ennesima potenza. Una sorta di insinuante forza di corruzione storica che viene orgogliosamente rivendicata in molti dei prodotti Disney, specie su piattaforma. Dove appare un’intro che è tutto un frullare di scuse non richieste e supercazzole di potente ascendenza freudiana: «Questo programma include rappresentazioni negative e/o maltrattamenti di persone o culture. Questi stereotipi erano sbagliati allora e sono sbagliati adesso. Piuttosto che rimuovere questo contenuto, vogliamo riconoscerne l’impatto dannoso, imparare da esso e stimolare la conversazione per creare un futuro più inclusivo insieme. Disney si impegna a creare storie con temi ispiratori e ambiziosi che riflettano la ricca diversità dell’esperienza umana in tutto il mondo». Questo, temibilmente, si legge su Disney+. E se i liberal, le Grete Thunberg e le femministe d’ultima istanza plaudono all’iniziativa, il resto del mondo comimcia ad essere assalito da orchite invincibile. Risultato: crollo della Disney e piano tetragonodi ristrutturazione che contempla il taglio dei costi di 5,5 miliardi di dollari, e, appunto l’alleggerimento di 7.000 posti di lavoro, circa il 4% del totale, per una macchina operativa che fino a quattro mesi fa macchina contava 220.000 lavoratori nel mondo. Ora, se c’è una cosa che la gente non sopporta è la manipolazione degli eroi della propria infanzia. Da qui la revisione più pericolosa e terribile: Biancaneve.

Quella classica e tradizionale, della fiaba e delle prime realizzazioni Disney, da tempo dava fastidio, coi suoi nanetti tutti maschi e bianchi. Sicché, nel nuovo film del 2024, i sette “nani” sono divenuti delle «creature magiche, multirazziali e di genere misto». Dunque la nuova Biancaneve appare di origini ispaniche; e i sette nani, degli originali, hanno soltanto il numero: non risultano né bianchi, né nani. Né del tutto maschi. Quest’ultima aberrazione ha fatto precipitare totalmente la Disney nel Maelstrom etico-finanziario.

IL LUPO CATTIVO
Al punto che Bentkey, il nuovo marchio di intrattenimento per bambini di Daily Wire, la società fondata dal commentatore politico Ben Shapiro, annuncia di aver iniziato a lavorare ad un contrapposto film live-action basato sulla storia di Biancaneve. In versione ultraconservatrice Biancaneve e la Regina Malvagia, dove Brett Cooper diventa la principessa. La Cooper è una notissima Youtuber e influencer repubblicana già sostenitrice di Donald Trump; e la sua orticaria per il mondo dem è famigerata. «Questa è una storia su una principessa e un principe, sulla bellezza e la vanità, sull'amore e il suo potere di farci risorgere dalla morte alla vita». È la piccola sinossi del nuovo film che, però, l’ultra-conservative Walt Disney avrebbe approvato. «Who’s Afraid of the Big Bad Wolf?, Chi ha paura del Lupo Cattivo?» canticchiava a sè stesso il grande cineasta sovietrico Sergej M. Ejsenstein, collaboratore di Disney, nel descrivere I tre porcellini come metafora del capitalismo. La domanda torna di prepotente attualità...