L'intervsita
Claudio Cecchetto rivela: "Mi hanno scoperto Silvio e Mike"
Claudio Cecchetto fa cose. Il re dei talent scout italiani, fondatore di Radio Deejay e Radio Capital, scopritore di quelli che sono diventati i più grandi artisti pop italiani degli ultimi 30 anni, da Fiorello a Max Pezzali, da Gerry Scotti ad Amadeus, per dirne solo alcuni, non si ferma davvero mai: «perché tendo ad annoiarmi». Superati con slancio i 70 anni, l’inventore del Gioca Jouer, in attesa di andare a New York il prossimo mese, dove gli italo americani del concorso “NyCanta” gli conferiranno il primo Mike Bongiorno Award, continua a fare quello che sa fare meglio in Italia: creare talenti. Sotto mano adesso ha una band di quattordicenni, i Nameless71: «Si parla tanto di baby gang - ci dice- io vi dimostro che si può parlare anche di boy band. Li ho conosciuti alla Festa del Basilico di Pesaro. Erano coi loro genitori. Ho proposto una tournée di dieci date in Romagna che è andata bene. Quando mi abbandoni sarà il loro primo inedito. Parla di quando ci si saluta la sera per tornare a casa...». Sorride e, manco a dirlo, Cecchetto sta sul pezzo.
Claudio, come conobbe Mike Bongiorno?
«Indubbiamente Mike è stata la persona che mi ha scoperto. Venne in radio da me per propormi di collaborare con Tele Milano (la prima tv di Berlusconi, ndr). Anzitutto quando lo vidi arrivare fui colto di sorpresa perché era come se non una persona ma la Televisione in persona arrivasse alla radio. Mi disse che pensava a qualcosa per i giovani e riteneva che io potessi essere la persona giusta. Io ero tutto emozionato, stavo lì ad ascoltarlo. Lui, forse per farmi un complimento, disse che mi ascoltava ogni mattina, io rimasi in silenzio, non stetti a dirgli che di mattina io non trasmettevo proprio! (sorride, ndr). Poi organizzammo un provino nella cantina di un bar di Milano 2, trasformata in una mini discoteca e lì feci il mio primo programma tv che si chiamava Chewing gum».
Come ci si sente a essere “scopritore” di talenti poi divenuti negli anni famosissimi?
«Fare il talent scout in fondo è come fare il disc-jockey o viceversa. Tu hai il compito di intrattenere le persone in discoteca. Escono mille dischi e tu devi scegliere quei 50/100 capaci di divertire le persone che vengono a ballare. Lavoro nel mondo dello spettacolo, mi piace vedere e dare una mano alle persone che meritano di più. Ci sono tante persone, come ci sono tanti dischi. È più o meno lo stesso lavoro. A 71 anni credo di poter dire, senza sembrare immodesto, che c’è talento anche nello scoprire i talenti. È una caratteristica».
È vero che i divi dello spettacolo, un po’ come avviene in politica, tendono a “mangiare” i loro padri artistici. O quanto meno a non essere poi così grati?
«C’è chi è più riconoscente chi lo è di meno. Questo è un fatto naturale. Nella vita ho scoperto che la riconoscenza va di pari passo con l’intelligenza. Uno più è intelligente, più è riconoscente. Di sicuro c’è il fatto che il talento è loro. Un talent scout lo scopre e grazie a loro può arrivare dove da solo non avrebbe potuto. Quanto al resto, è come se uno fa una famiglia. Non si fanno dei figlio si scoprono talenti perché rimangano tutto il tempo in casa. Poi obiettivamente a me piace continuare a scoprire talenti nuovi, per cui quando li vedo camminare sulle loro gambe sono solo felice».
A proposito. Ma Fiorello l’ha scoperto lei o Maurizio Costanzo?
«Credo che Costanzo abbia contribuito alla crescita di Fiorello, aiutandolo ad aumentare sua popolarità. Lo ha preso poi anche in un momento di difficoltà e ha usato tutti gli strumenti per aiutarlo a risollevarsi. Però credo possano esserci anche più paternità. Prendiamo il mio caso: io sono stato lanciato da Mike, ma poi Ravera mi ha fatto fare tre festival di Sanremo. Salvetti mi ha affidato il suo Festivalbar quando decise di farlo diventare itinerante. E lo stesso Berlusconi, dopo Sanremo, mi ha affidato il primo show di Canale 5».
Lei ha condotto il trentesimo Festival di Sanremo e le successive tre edizioni, segnando un po’ una regola. Esattamente 40 anni dopo arriva Amadeus e ne firma cinque. Che ne pensa?
«Beh il modello di Amadeus a questo punto è Pippo Baudo. Ma fa bene. Squadra che vince non si cambia. Se Amadeus vorrà prendersi delle pause nel cammino, come fece proprio Baudo prima di arrivare al suo record. Avevo detto che avrei visto benissimo Gerry Scotti all’Ariston. Sono felice per il pubblico che anche questa idea diventerà realtà».
Già negli Anni 80 ha scoperto la potenza di quella che oggi chiamano “radiovisione”. Non le è mai capitato di notare che qualcosa l’avesse scoperta troppo presto per essere capita?
«Le cose si pensano. A volte, se è troppo presto, si lasciano nel cassetto e poi arriva invece il tempo di farle. La mia politica è sempre essere mezzora avanti, ma non troppo avanti perché sennò si hanno dei rimpianti. Quelli, sinceramente, preferisco lasciarli ad altri».
Ha esordito in tv con Berlusconi. Come mai a un certo momento decise di vendere Radio Deejay a De Benedetti che di Berlusconi è stato l’arcinemico?
«A un certo punto ho dovuto vendere Radio Deejay perché era diventata troppo grande. Io sono più direttore artistico che imprenditore. L’ho anche proposta a Fininvest. Però gli uomini di Berlusconi di allora non gliel’hanno detto e così sono arrivati altri. Mi ricordo che proprio Berlusconi venne a chiedermi perché non avessi parlato con lui. Gli spiegai, mi chiese i nomi delle persone con le quali mi ero confrontato. Non erano certo il guardiano o il portiere di notte... Ovvio che l’avrei venduta non solo volentieri ma addirittura con grande gioia a Berlusconi».
È stato un precursore anche in politica. A Riccione, dove si candidò sindaco e ora è consigliere comunale, ha fondato con buoni risultati un “terzo polo” oltre la destra e la sinistra. Pensaci sia spazio anche a livello nazionale per questa sua idea?
«Io penso che a Riccione, ma anche in altre località italiane occorrano liste civiche che facciano politica a km 0 per il territorio. Per il semplice fatto che ciò che puoi fare a Riccione è diverso da quello che potresti fare a Mestre o per esempio a Gallipoli. I partiti lasciamoli a Roma a gestire il Paese, nel senso dell’Italia. Il sindaco deve essere come un disc-jockey. Deve guardare la pista, i suoi cittadini, per fare in modo che stiano bene. E se c’è qualche problema deve essere bravo a cambiare musica».
Artisticamente ci sono personaggi che riconosce ancora oggi come modelli?
«Come talent scout, anche se non l’ho mai imitato, mi sono sempre ispirato a Renzo Arbore. Musicalmente il mio punto di riferimento è Adriano Celentano. Quando venne a trovarmi in radio disse che gli sembrava il suo Clan. Fu una delle più grandi soddisfazioni per me».