botta e risposta

Marco Travaglio, figuraccia da Lilli Gruber: sfottò servito

Giovanni Sallusti

Forse non abbiamo mai compreso davvero l’essenza del travaglismo, inteso come forma specifica del giornalismo italico (non si danno analoghi casi occidentali). Sì, ovviamente, il giustizialismo come impasto pseudoculturale, la triangolazione con le Procure come prassi corrente, l’antipolitica politicante presentata come panacea di tutti i mali, in una galleria dell’improbabile che va da Grillo a Conte. Eppure, tutto ciò è ancora superficie, sta nel gioco mediatico quotidiano. L’essenza del travaglismo, viceversa, sta in un sorrisetto reiterato, sardonico, quasi volutamente fissato in una maschera. Un sorrisetto davanti ai morti. Come quello che il direttore del Fatto Putiniano ha ostentato l’altra sera, per pressoché l’intera puntata di Otto e Mezzo, davanti al ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba.

 

 

Che non rappresentava solamente se stesso, rappresentava i civili massacrati da un anno e mezzo, i bambini strappati ai genitori e deportati, le case sventrate dai missili, gli uomini torturati, le donne violentate, le fosse comuni, l’orrore di Bucha, il martirio di Mariupol, insomma un’intera nazione europea aggredita e martoriata dall’allucinato imperialismo post (?) sovietico di Putin. Ebbene, Travaglio ha criticato Kuleba ininterrottamente, con sorrisetto d’ordinanza, tono irrisorio comodamente stravaccato in poltrona direttoriale (mentre l’altro si sveglia ogni giorno sotto le bombe dello Zar, per quanto quest’ultimo sia per Il Fatto quel che Baffone era per L’Unità ci si aspetterebbe un minimo d’empatia) e argomentazioni sentite finora solamente su Rossija 1, principale canale televisivo moscovita.

 


GLI AMICI DITTATORI
Parte in quarta Travaglio, sdottoreggiando sulla “guerra civile” andata in scena in Donbass a partire dal 2014 e cazziando neanche troppo velatamente l’interlocutore che si ostina a non consegnarsi all’invasore: «La parola negoziato non le è estranea, non pensate di dovervi pentire di non aver ottenuto il cessato il fuoco in tempo?». La risposta del ministro è fulminante, e avrebbe consigliato a chiunque non integralmente devoto al culto del proprio Ego di dismettere quantomeno il sorrisetto: «Pochi Paesi nel mondo ritengono che quanto accaduto in Donbass fra il 2014 e il 2022 sia stata una guerra civile: la Russia, la Corea del Nord, il Nicaragua e il Venezuela». Eccola, la compagnia del travaglismo internazionale: una simpatica congrega di dittatori social-comunisti pazzoidi e macellai. Per il resto del mondo, e Kuleba riesce a spiegarlo con invidiabile calma e fin ironia di ritorno, «la Russia ha annesso illegalmente la Crimea, la Russia ha invaso il Donbass. Mi spiace non essere convincente, ma ci sono fatti e documenti dell’Onu a suffragio delle mie affermazioni». Dopodiché, mentre l’altro continua a palesare il proprio buonumore sorridendo a beneficio di telecamera (l’argomento sarebbe la guerra che devasta le vite degli ucraini, en passant), decide di illustrargli la situazione con un esempio alla sua portata: «Facciamo finta che una squadra italiana debba giocare la finale di Champions League. Lei non si concentrerebbe sul tentativo di vincere? Se si inizia la partita con l’idea che alla fine si perderà, lei non vincerà mai. E io le assicuro che funziona così anche in guerra».


METAFORA CALCISTICA
E qui il propagandista russo che cova dentro l’osservatore manettaro deborda: «Se dopo un anno e mezzo una squadra prende 5 gol, come è successo a voi con l’occupazione della Crimea e poi di 4 vostre regioni e con le vostre controffensive che hanno sfiorato più o meno i pali senza centrarli mai, si pone un problema nei confronti dei vostri alleati». Peccato che Kiev non stia affatto perdendo 5 a 0: doveva cadere dopo una settimana dall’invasione (come vaticinava sulle colonne del Fatto uno dei pochi che supera il direttore in zelo putiniano, Alessandro Orsini) e non è successo. Non solo ha resistito e sta resistendo, ha recuperato ampi territori nell’offensiva autunnale, recentemente ha liberato regioni del Donbass sotto controllo russo dal 2014, ieri ha annunciato di aver colpito il quartier generale russo e l’impianto di stoccaggio della città di Berdiansk, vicino a Zaporizhzhia (un po’ più di un “palo sfiorato”). In ogni caso, Kuleba rovescia la metafora calcistica sul Travaglio ridanciano, rievocando la mitologica finale di Champions Milan-Liverpool del 2005: «Dopo il primo tempo, il Milan, che dominava in lungo e in largo sul terreno di gioco, vinceva 3 a 0. Sono sicuro che io non debba ricordarle come sia finita la partita. Questo, insomma, è un gioco intellettuale. Il vostro lavoro è essere scettici, il mio è vincere». E il sorrisetto rimane lì, irrimediabilmente appeso alla propria nullità, mentre Kuleba va a seppellire altri morti e a combattere per la libertà dei vivi, compresa quella di chi sorride