L'attrice

Maria Grazia Cucinotta, la confessione: "Mi sono sempre sentita una preda"

Daniele Priori

Maria Grazia Cucinotta è la migliore ambasciatrice del cinema italiano nel mondo. Dalla sua Sicilia, dove anche quest’anno sarà madrina della XII edizione del “MareFestival Premio Massimo Troisi” a Salina, alla lontanissima Cina dove, proprio in questi giorni, è in corso il Festival Internazionale del Cinema di Shangai. La incontriamo a poche ore dal volo che l’ha portata in estremo oriente. «Vado da ormai 16 anni e quest’anno sono particolarmente felice perché è in concorso l’ultimo film di Paolo Genovese Il primo giorno della mia vita. Sono onorata di portare in Asia la voce del cinema italiano», ha detto l’attrice. «Parlerò dei progetti che legano l’Italia alla Cina e sarà anche l’occasione sarà utile anche per raccontare del “Premio Massimo Troisi”. Quest’anno, l’attore e regista di Ricomincio da tre, avrebbe compiuto 70 anni e il prossimo cadono i 30 anni di Il Postino del cui cast la Cucinotta faceva parte insieme allo stesso Troisi e Philip Noiret.

 

 

 

Maria Grazia, cosa ha lasciato Troisi di così profondo dal renderlo ancora così fortemente attuale?
«La magia della verità, della poesia, delle emozioni vere, senza nessuna una forma di costruzione. Il Postino è un film ancora attuale perché parla di problemi, di soprusi, gente che viene usata, politici che promettono e non mantengono. L’acqua sull’isola ancora non c’è e siamo arrivati al 2023. È un film che parla anche di poesia, di come attraverso le parole si possano fare innamorare le persone ma si possono scatenare anche le guerre. Cambiare la mentalità e aiutare le persone a non soffrire più. Il Postino mette insieme tutto questo. Si ride, si piange e se sei una persona open mind o open cuore come mi piace dire, non può non conquistarti».

Ha un aneddoto anche privato su Troisi che vuole ricordare con particolare affetto?
«Io l’ho conosciuto sul set. Ricordo che guardavo come lui trattava le persone. Ho ammirato l’unicità del suo essere sempre gentile con tutti. A Salina per il premio ogni anno andiamo nello stesso albergo che ci ospitò mentre giravamo il film. Ogni volta stare lì è come tornare a casa. Vedere il balcone dove stava Massimo fa rivivere tutta la magia che è rimasta in quell’isola che da trent’anni è l’isola de Il Postino».

Lavorare sulle parole di Neruda l’ha avvicinata alla poesia?
«In realtà scrivevo poesie già da quando ero piccola. Perché ero sempre molto innamorata e mi sentivo assai incompresa. Ho una sensibilità molto elevata. Sentivo che attraverso le parole potevo anche farmi compagnia. Mi piace scrivere usando le giuste parole perché mia madre mi ha sempre insegnato che la lingua non ha ossa, ma rompe le ossa. Questo è un vecchio detto siciliano che è pura verità. Devi sempre stare attento alle parole che usi. Alda Merini, nella quale mi sono sempre identificata, diceva: mi piacciono le persone che scelgono con cura le parole con le quali dirti le cose...»

Le parole, ma anche la bellezza femminile di cui lei è una meravigliosa espressione. Purtroppo spesso fraintesa tanto da farle avere paura. L’ha raccontato lei stessa. Ma paura di cosa nello specifico?
«La paura di essere e sentirsi sempre una preda. Ho scritto un libro intitolato Vite senza paura nel quale ho raccolto cinque storie di donne che hanno subito violenza ma ce l’hanno fatta. Abbiamo anche un’associazione che si chiama allo stesso modo e aiuta le donne e tutte le persone vittime di soprusi. Nel libro racconto proprio questo uscire sentendosi preda. Uno stato d’animo col quale una persona cresce fino a trasmetterlo anche ai propri figli. Che poi quando si è ragazzini non esistono maschi o femmine. Si è comunque prede».

Ma chi si macchia di quegli atti è una persona forte o è solo la parte più violenta e prevaricatrice della società?
«Quelli che usano violenza sono persone orrende che usano la forza fisica e psicologica per prevalere su chi magari è più sensibile e subisce, diventando per forza la parte debole perché non può reagire, non ne ha la forza».

 

 

 

Lei è da sempre anche icona dei diritti civili. Che ora vive, ci pare di capire, principalmente come donna e mamma...
«Io lotto da sempre per tutti quelli che sono i diritti delle persone. Viviamo in un Paese nel quale, comportandosi bene e seguendo le regole, ognuno deve avere la libertà di vivere la propria vita in maniera dignitosa».

Lei è stata più volte madrina di manifestazioni come i Pride. Si è fatta un’idea sul tema della gestazione per altri che sta creando fratture tanto nel mondo femminile quanto in quello lgbt+?
«Io faccio volontariato da anni dentro reparti oncologici nei quali ci sono donne che non possono avere figli. In quei casi è logico che queste persone debbano adottare o rivolgersi ad altri per avere un figlio. Non sono d’accordo, però, sul fatto che questo possa diventare un business. Anche perché c’è una realtà che nessuno vede, raccontata benissimo nel film La sconosciuta di Tornatore. Prostitute ragazzine che vengono messe incinte e massacrate di botte, alle quali poi portano via anche i figli. Ci occupiamo tanto del MeToo e poi per strada ci sono ragazzine costrette a prostituirsi delle quali non interessa niente a nessuno. Quelle sono le vere vittime che poi magari finiscono pure ammazzate. Diverso, invece, ripeto, è il caso di madri che, agendo con il cuore, hanno partorito magari per le proprie figlie malate di tumore. Ma in questo caso parliamo di umanità, non di business. In generale, però, credo che le donne, soprattutto quando ci sono necessità economiche, non debbano essere costrette a diventare incubatrici, ma vadano aiutate ad avere uno stipendio senza dover partorire figli per altri...».

Tornando a parlare di cinema, è appena uscito Brividi d’autore. Un esperimento horror d’autore, con un cast d’eccellenza di cui anche lei è parte. Come mai si è calata in un genere così particolare?

«In effetti non avevo mai fatto film dark. Ho accettato perché uno dei corti di cui si compone il film, nel quale sono protagonista, tratta il tema dei bambini che vengono rapiti e sacrificati nelle sette sataniche. Nel film interpreto la mamma di un bambino rapito. Girando questo film ho scoperto che solo in Italia spariscono dieci bambini al giorno, numeri pazzeschi dei quali nessuno parla. Sono tematiche molto pesanti che se uno si mette ad approfondire, informandosi, ti portano a fare fatica anche ad uscire di casa».

La politica secondo lei che ruolo ha in trame sociali così complicate?

«Non giudico chi governa. Non mi piace però che quando c’è una parte al governo, tutti gli altri ne debbano parlare male. Questo crea instabilità al Paese e un clima di poca credibilità che genera instabilità psicologica anche nei ragazzi che crescono. Sono trent’anni che la politica è fatta solo di lotte, scandali e insulti sui giornali».

Qualcuno parlerebbe di politica all’italiana...

«Ma guardi, io ho vissuto molto all’estero e non stanno meglio di noi. Sono solo più furbi e non sputtanano sui giornali i nomi dei loro paesi, come invece facciamo noi italiani».