Parabole
Roberto Vecchioni, l'imbarazzante risata di un minuto in diretta tv
Per chi non è più giovanissimo Roberto Vecchioni è un mito. Pur non avendo mai nascosto le sue simpatie politiche, si è sempre contraddistinto per misura, sobrietà, serietà. Pur nel momento del maggior successo, non ha abbandonato mai il suo lavoro di docente nei licei, il che contribuiva ancor più a rimarcare quell’aria da intellettuale buono e pensoso che gli era connaturata. Chi non ha cantato le sue arie, dalla allegra Samarcanda alla nostalgica Luci a San Siro, da Sogna, ragazzo sogna a Il bandolero stanco? Fa perciò un certo effetto che oggi, vecchio e malato, il nostro venga così palesemente strumentalizzato in una trasmissione televisiva che gli chiede di esprimere giudizi politici.
Di parlare non di quella politica concreta che a lui è stata sempre cara, ma dell’attualità politica più immediata. E sì che sui problemi veri della gente, quelli che stanno a cuore a quel pubblico che lo ha tanto amato e che lui ha amato con le sue canzoni, il cantautore milanese avrebbe avuto tanto da dire! Ma tant’è! A Vecchioni, manco fosse un esperto di diritto costituzionale, Giovanni Floris ha chiesto nell’ultima puntata dello schieratissimo DiMartedì di dare un giudizio sul presidenzialismo, cioè su un tema tanto importante quanto complicato, non certo riducibile a una chiacchierata al bar. O in un talk show, che è lo stesso. Al che il nostro, conscio forse di essere inadeguato, ha risposto con una fragorosa risata che sta facendo il giro del web. Ha poi aggiunto: «Non riesco ad avere altra risposta, ma a volte il riso o il pianto bastano». Cosa c’è da ridere su un tema così serio?
E di cosa o di chi ha riso Vecchioni? Del presidenzialismo? Delle riforme? Della Costituzione? Di Giorgia Meloni? Del governo tutto? Non è dato sapere, ma a chi ha assistito senza pregiudizi alla scena, quei pochi secondi son parsi un’eternità, un boccone indigesto che è sembrato contrastare con quello che il cantante è sempre stato. Prima di tutto per lo stile sguaiato, che non è il suo. Chi lo ha tratto in inganno? Perché si è prestato? Sono queste le domande che gli italiani che lo seguono, ne siamo sicuri, si stanno in larga maggioranza ponendo. Il fatto poi che Vecchioni abbia detto, sempre nella stessa intervista, di essere all’antica e di volere una democrazia vera, ove a decidere siano i rappresentanti politici eletti dal popolo, rende ancora più paradossale l’intera vicenda. In effetti, è proprio questo il succo del presidenzialismo, e un uomo colto come lui non può non saperlo. Così come non può non sapere che il governo che lo propone è stato eletto dalla maggioranza degli italiani proprio su un programma che esplicitamente lo prevedeva. Che tristezza vedere Vecchioni cadere in un tranello così vistoso. E dover ammettere, pensando alla sua e alla nostra giovinezza, che «luci così a San Siro non se ne accenderanno più».