L'imitatore
Dario Ballantini, "strappati davanti agli occhi": la rivelazione choc
Quarant' anni di carriera, oltre settanta personaggi non solo interpretati ma impersonati e la dote più grande, di cui va più fiero, è proprio quella di nascondersi dietro di loro. Tanto da diventare semplicemente inimitabile. All'anagrafe risponde al nome e cognome di Dario Ballantini. Famoso tra il grande pubblico per essere l'imitatore principe di Striscia La Notizia. Cinquantotto anni portati divinamente. Livornese di famiglia. Una vita intrisa nell'arte. Che sia un'imitazione o un quadro il palcoscenico resta sempre la vita fuori di sé. «Ci sono imitatori come Crozza che ci tengono a far riconoscere il comico che c'è dietro l'accenno di maschera. Io faccio esattamente il contrario. Ho trascorso una vita a inseguire questa passione».
Imitatore e pittore in primis, diplomato al liceo artistico. Come nasce questo parallelismo?
«Il parallelismo è nato proprio in quella classe del liceo sperimentale che prevedeva anche l'artistico. Tra le file di quei banchi è nata sia passione per la pittura che ho ereditato da mio padre che pure dipingeva. Livorno è una città piena di pittori, quindi me la sono trovata come base. Le imitazioni sono cominciate con un mio compagno di banco. Un'impresa subito di successo. Un nostro compagno scrisse a Corrado Mantoni che era appena passato a Canale 5 e a 18 anni avemmo modo di fare le prime cose in tv».
In passato ha dichiarato di aver imitato 70 personaggi, come se avesse vissuto 70 vite. Ma parla molto poco della sua. Le va di raccontarci qualcosa?
«Trovo che spesso il gossip è anche un piacere per molti che amano esporsi. È vero che se ne occupano i giornalisti, ma i vip offrono il fianco. È di aiuto se hai poche frecce alla faretra. Se hai tante attività di cui parlare, perché aggiungere troppo privato?».
Cosa fa quando non imita?
«Livorno è la base stabile. È lì che vivono i miei tre figli. Mia figlia ormai è grande, recita e gira come me. Poi viaggio tra Milano e Roma, più i posti nei quali faccio mostre e spettacoli. Ma oggettivamente non so stare più di due giorni o tre nello stesso posto».
Secondo lei Dario Ballantini è inimitabile?
«Mi auguro di sì. Perché se non lo fossi vorrebbe dire che nelle imitazioni traspare qualche mia caratteristica di troppo, invece spero sempre di rimanere ben nascosto. La mia aspirazione resta quella di meravigliarmi io per primo, specchiandomi e notando che sono scomparso...».
Lei ha imitato anche qualche donna. Quale le è piaciuta di più?
«Ne ho fatte in modo un po' eccessivo, come può fare un uomo vestito da donna. Da Paola Borboni nel 1994, alla ministra Cancellieri, da Susanna Camusso a Margherita Hack che era piaciuta tanto ad Antonio Ricci. L'avevamo fatta a Sanremo quando lei aveva proposto un a canzone per il festival. Con l'imitazione della Brambilla ho anche quasi acchiappato...» (sorride).
Sa che sembra persino la Rai stia preparando un programma sulle drag queen?
«Bene. Io sono una drag queen ante litteram. Sono partito a 17 anni dal teatro del vernacolo livornese che, come quello dei Legnanesi, è caratterizzato dalla presenza di donne interpretate da uomini travestiti».
Lei ha dichiarato che i politici ormai sono attori. Può dirci chi, oggi, le sembra essere quello più reale?
«Le posso dire, tra quelli che incontro a Montecitorio, Fassino. Mi pare una persona che cerca sempre di stare nel suo. È quasi timido e sfuggente. Gli altri, nella stragrande maggioranza dei casi, sono cresciuti anziché in una scuola di partito, in una scuola legata all'immagine. Tutti sono sempre pronti alla battuta, a farsi vedere. Sanno che è importante apparire. Alla fine sono delle starlette. È diventato uno sketch nello sketch».
C'è qualche personaggio, a suo giudizio, impossibile da imitare per lei?
«La Meloni non la potrei fare. È una donna minuta. Mi dà fastidio se il trucco è troppo fuori dalle misure. Non potrei fare nemmeno Brunetta. Non amo le forzature. Sono arrivato a fare Trump mettendo delle aggiunte eccessive alle scarpe ma ho rischiato di cadere».
Le piace la tv di oggi?
«Mi piace un po' più nelle ore dopo la mezzanotte. Con gli approfondimenti. La tv usa e getta non mi fa impazzire».
Quindi al Grande Fratello non andrebbe?
«Penso proprio di no. Dovrei proprio essere disperato. Ormai si sa cos' è. È finito il gioco. Meglio essere dichiaratamente truccati».
Tale e Quale le piace?
«Lo guardo. Sono appassionato di trucco e anche amico di Loretta Goggi, Giorgio Panariello e Carlo Conti. In realtà un po' mi destabilizza vedere che tutti provino a essere uguale a un altro con maschere grossolane, quando poi non è nella loro indole. Lo fanno come esperimento, magari con l'obiettivo, se riesce bene, di andare a fare i cantanti o i presentatori. Io invece ho dedicato 40 anni, una vita, a fare quello di cui ero appassionato, seguendo le orme di Alighiero Noschese e Alfredo Papa, gli unici riferimenti ad aver fatto prima di me quello che io continuerò a fare».
Record o curiosità di questi 40 anni?
«Negli anni di Valentino sono stato anche 300 giorni nei panni dello stilista, scambiato per lui».
Un altro?
«Al Festival di Cannes l'organizzazione mi ha scambiato e annunciato in Eurovisione come monsieur Nanni Morettì. Quando hanno scoperto lo scherzo si sono così arrabbiati che ci hanno strappato i pass davanti agli occhi».
In questo quarantennale di carriera, sta dicendo qualcosa che non aveva detto finora?
«Nello spettacolo anniversario faccio la scelta di andare uno scalino sopra la presa in giro. Racconto la sensazione dell'incontro diretto con le persone imitate, capitato con Gino Paoli, con Gianni Morandi, con Nanni Moretti. E poi sui personaggi che imito mi piace aggiungere, ove possibile qualcosa che non è stata riconosciuta nella realtà. Di Pappalardo, per esempio, racconto la grande dote vocale, apprezzata da Mogol e Battisti, che lo sceglievano per cantare i pezzi più difficili. E canto un brano inedito che era stato scritto per lui. Vedo che la gente apprezza. Mi fa piacere. Provo, insomma, a rendere un po' di giustizia artistica a coloro che se la sono vista negare».
Da Balla a Dalla. Altro spettacolo. Una sorta di transfert per lei. È così?
«È stato più che altro un sogno che mi si è avverato. Di Dalla non solo ero un fan. L'ho disegnato e imitato per anni, sin da giovanissimo. La vita poi ha voluto che non solo ci siamo conosciuti. Lui si è appassionato ai miei quadri, tanto da venire a cantare gratuitamente alla mostra per i 25 anni della mia carriera da pittore. Davvero non potevo chiedere di più e dovevo raccontarlo».