Convinti loro...
Volodymyr Zelensky, lo sfregio di Vanity Fair: "Credibilità in dubbio, non volevamo vedere quella roba"
Ma da che pulpito viene la predica. Finché le critiche all'opportunità di una serie tv comica in un momento di guerra vengono da pensosi intellettuali, possiamo comprendere la critica. Ma quando gli affondi arrivano da giornali e giornalisti esperti in divagazione, be', viene da sorridere.
Come è inevitabile fare nel leggere le contestazioni alla scelta di mandare in onda la serie tv Sluha Narodu («Servitore del popolo») - interpretata da Zelensky quando era ancora un comico - lunedì scorso su La7: a detta di alcune riviste patinate, la proiezione della sitcom sarebbe inopportuna in questa fase nonché un inno discutibile allo Zelig Zelensky.
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Sulla serie tv del 2015, in cui l'attuale presidente ucraino interpreta un prof di storia che si trova casualmente a diventare capo di governo, sono piovuti gli strali della rivista di costume Vanity Fair che su Instagram fa notare che la messa in onda è criticabile per «una questione di tempismo»: il fatto che «sbarchi in Italia nelle settimane calde dell'invasione russa e delle terribili immagini di Bucha fa storcere il naso». In particolare, l'immagine dello «Zelensky attore comico che si spruzza una boccetta di profumo negli occhi» ne «mina la credibilità di leader». Da cui la chiusa: «noi con le immagini dell'Ucraina dilaniata da fame e bombe, quella sitcom non l'avremmo trasmessa adesso».
Viene da chiedersi quando sarebbe stato opportuno trasmetterla: questa serie ci fa comprendere cos' era Zelensky prima; e anche cosa era l'Ucraina prima, facendoci guardare immagini di normalità, compatibili con lo stile di vita occidentale. Non ci vuole molto per afferrare il messaggio che appare dietro al mezzo.
Questa mancanza di visione colpisce anche Guia Soncini, brava giornalista, di certo però non esperta di comunicazione in tempi di guerra (ha scritto suoi saggi su Come salvarsi il girovita e La repubblica dei cuochi). Epperò lei si prende la briga di pontificare su Linkiesta contro la serie tv, contestando il titolo della versione italiana, Servant of the people, definito la dimostrazione del «tentativo di darsi un tono di La7, delle velleità di cosmopolitismo». Non paga, giudica la serie ormai datata, tale da sembrare «girata ormai cent' anni fa». E se la prende col contenuto della sitcom in quanto «le cose che dice il prof di storia zelenskyano sono d'uno sciatto populismo che in confronto Beppe Grillo è De Gaulle».
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E che dire poi delle critiche della rivista Rolling Stone, competente di musica, ma che stavolta prende una nota stonata, disdegnando la serie che ha permesso a Zelensky di «dare vita a una creatura politica» prima che emergessero «i legami non proprio edificanti del "Servitore del popolo": diversi articoli portarono alla luce la sua vicinanza con Kolomoisky, oligarca ucraino, proprietario del canale tv 1+1- quello che mandava in onda Sluha Narodu». Zelensky, avverte quindi Rolling Stone, ha non poche macchie eppure «oggi è ovunque: sulle prime pagine dei giornali, nei lanci di agenzia che ci tormentano». E, da ultimo, nella serie tv. Con un rischio di saturazione.
Da qui, secondo il Fatto quotidiano, gli ascolti non esaltanti della serie, vista «da 821mila telespettatori con il 3,42% di share, un dato probabilmente inferiore alle aspettative». A La7 invece si dicono «soddisfatti» e notano come «se ci si ferma agli ascolti, il risultato è ben superiore alla media del lunedì sera»: in effetti, guardando le medie stagionali (1,9%) di Grey' s Anatomy la sitcom con Zelensky ha quasi raddoppiato lo share. E poi, continuano da La7, «la soddisfazione maggiore è per una serata, il cui seguito ci sarà lunedì prossimo, costruita con l'introduzione di Andrea Purgatori, l'intervento di Paolo Mieli e un documentario che ha raccontato in modo inedito l'ascesa di Zelensky». Ma niente, questa costruzione scrupolosa non basta ai censori di turno per risparmiarsi il pippotto sulla necessità di evitare la comicità durante la tragedia. Detto da chi di solito si occupa di frivolezze, la cosa però fa ridere. E ridere amaro.