Il nostro amichevole Spider-Man di quartiere che batta anche il Covid
Lutti, sorrisi, ragnatele e diverse versioni di te stesso da universi paralleli che fanno gioco di squadra e incrociano le loro solitudini. Il desco Marvel questo offre, a fronte di incassi supereroici.
Visionare in un cinema zeppo come un uovo (cinema di solito deserto causa pandemia e causa Netflix) Spider-Man: No Way Home alla vigilia di un Natale mentre i tuoi figli piccoli ti chiedono spiegazioni sulla continuity marvelliana, e frotte di adolescenti inquieti commentano con un occhio al grande schermo e l’altro a quello dello smartphone bombardato di post catarifrangenti; be’, tutto questo rischia di diventare un’esperienza lisergica. Solo che al posto dell’Lsd, ci sono le immagini del “multiverso” con città rovesciate che si squadernano come casseforti dentro un pop up, e dove il Dottor Strange viene confinato dopo un incantesimo andato a male per colpa di un intervento di Peter Parker.
Il quale Parker - smascherato da Mysterio che ne rivela l’identità al pubblico nella quarta puntata della saga-arriva al quinto episodio, appunto, a chiedere allo stregone supremo di cancellare il suo ricordo dalla memoria dell’umanità stessa. Da qui, da questa infima pretesa, parte il nuovo episodio del tessiragnatele. Mi rendo conto che è complicatissimo: le trame dei film Marvel s’intersecano sempre più tra loro come i fili di un grande arazzo. Se ti perdi solo una puntata sei fregato. Ho amici che si smerigliano le dita a forza di sfogliare le versioni a fumetti delle storie, spesso contrastanti coi film. Altri amici si incollano sui canali Disney+ e sugli spoiler del web per comprendere i misteri degli incastri tra le varie serie Marvel e Netflix, da WandaVision a Loki, da The Punisher a Daredevil (che qui compare nei panni dell’avvocato cieco Matt Murdock, che salva Spidey dalla galera e da un mattone preso al volo). Complicatissimo spiegare un film Marvel slegato dal contesto anche per chi, come il sottoscritto, si nutre dei fumetti by Stan Lee dall’infanzia.
Invece è molto semplice registrare un dato monstre: ci sarà un motivo, se, soltanto al primo fine settimana d’uscita, il nuovo film-blockbuster dell’Uomo Ragno di Sony e Marvel ha registrato un botteghino da Guinness dei Primati (in epoca post-pandemia): 253 milioni di dollari negli Stati Uniti e 587 milioni di dollari a livello globale. «Risultati storici, terzo nella storia degli incassi», così li definisce il presidente del Sony Motion Picture Group Tom Rothman. Spider- Man No Way Home è un meccanismo perfetto che supera le due ore e mezza di proiezione. La storia prevede lo scontro di tre realtà frutto di tre universi differenti ognuno col suo Spider-Man e i suoi villains sulla scorta del precedente cartoon Un nuovo universo; sicché ecco comparire i vecchi interpreti dei vecchi film -, Tobey Maguire e Andrew Garfield- che si alleano per rovesciare la minaccia dell’inedita band di malvagi: Elektro, Lizard, Uomo Sabbia, Doc Octopus che si ravvede e Goblin (grande Willem Dafoe nel ruolo psicopatico). E con quest’espediente Marvel e Sony sono riusciti ad azzerare le incongruenze di tutti i film della saga. Ah, poi muore anche la zia May interpretata da una splendida Marisa Tomei, giusto per non spoilerare; ed è qui che il volto di mio figlio piccolo, Tancredi s’è rigato di una lacrimuccia: «Papà questo è un film bello, ma è un film triste…». Ed è così.
Perché in questo Spider- Man c’è tutto: umorismo da commedia degli equivoci; senso di pietas verso il nemico; passaggio dall’adolescenza alla maturità; poesia dell’abbandono e sacrificio di se stessi e del proprio ricordo cancellato nella testa di chi ci vuole bene (“come se non fossi mai esistito”, dice Strange a Peter, ricordando la scena dell’angelo Clarence e Jimmy Stewart ne La vita è meravigliosa). E un velo di tristezza che copre le cose e che rende ai nostri figli la sensazione che il destino dipenda sempre e soltanto dalle nostre scelte…