risate

Danilo Toninelli, Gene Gnocchi da Nicola Porro lo deride: "Quando in pubblico lo nomino, la gente..."

Francesca D'Angelo

Gene Gnocchi cambia casa e formula. Passa a Quarta Repubblica, Mediaset. Non gli basta più uno spazio circoscritto nel programma, vuole interagire sempre con il conduttore. Da lunedì 31 sarà ospite fisso nel talk show di Nicola Porro. «Trovo che la copertina satirica sia un po' superata, il contributo ironico funziona meglio se è integrato all'interno della trasmissione. Circoscriverlo a una cartolina, piazzata lì, è un po' come dire: "Facci ridere, poi quando hai finito andiamo avanti noi". Una volta scaduto il contratto con La7, ho accettato di passare a Quarta Repubblica proprio perché Porro mi ha offerto la possibilità di sperimentare un approccio nuovo, muovendomi da battitore libero».

Sarà più pungente, visto il differente ruolo...
«Già, ma proprio per questo i miei interventi saranno più arricchenti».

Una volta i comici dovevano fare i conti con la censura, oggi devono vedersela con il politicamente corretto. Qual è peggio?
«Il politicamente corretto. La censura è un rischio calcolato: puoi immaginare che venga applicata e, quando accade, l'avevi prevista. Il politicamente corretto è molto più subdolo, perché cambia, ti irretisce, è mellifluo. Ti spinge ad auto-censurarti».

Le battute su donne, minoranze e gay sono diventate più rischiose della satira?
«Durante il lockdown ho guardato su Netflix gli stand up di molti comedians americani e loro fanno battute molto pesanti su donne, gay, minoranze. Da noi sarebbe impensabile: si scatenerebbe una polemica senza fine. Un altro terreno delicatissimo è il calcio: una volta potevi dire che la Juve ha giocato peggio del Canicattì, ora se lo fai arriva il sindaco e gli abitanti di Caniccattì e ti fanno una intemerata».

Invece i politici ora sanno incassare?
«Alcuni se la prendono ancora ma fingono di ridere perché sanno che fare buon viso a cattivo gioco li fa apparire superiori».

Anche lei condivide la difficoltà, espressa da alcuni suoi colleghi, di ideare parodie o battute politiche che superino l'originale?
«È un problema che avverto. Spesso basta la pura imitazione per far ridere: non occorre aggiungere nulla di più né calcare la mano. In uno spettacolo che porto in giro da anni, chiudo sempre con la seguente gag: chiamo sul palco il sindaco che mi propone una data perché "Toninelli non può più venire". Immancabilmente c'è il boato di risate. Ormai ci sono alcune dichiarazioni, di certi politici, che sono considerate repertorio comico. Toninelli, così come la Castelli, sono personaggi che potresti portare a Zelig».

o a Quarta Repubblica?
«Mi piacerebbe fare Ferruccio De Bortoli, o lo stesso Toninelli, ma solo se è funzionale al programma. Credo sia più pagante punteggiare la puntata ironicamente, intervenendo nel dibattito in studio».

Tra i temi caldi di settembre c'è il referendum: lei è favorevole o contrario?
«Sarei favorevole se il taglio fosse associato a una riforma costituzionale. Così com' è non credo possa portare un gran beneficio». Passiamo alla pandemia: ci ha resi davvero migliori? «Ne siamo usciti uguali, se non peggiori».

Il mondo si divide tra allarmisti e negazionisti...
«A causa del Covid ho perso quattro amici: erano sani, giocavamo a calcetto. Non prendo il negazionismo nemmeno in considerazione. Chi dice cose del genere mi fa ribrezzo...».

Durante il lockdown ha scritto il suo nuovo spettacolo Se non ci pensa Dio, ci penso io. Di cosa si tratta?
«È un dialogo tra me e il Signore, molto ironico, dove gli chiedo ragione di alcune cose per me inspiegabili. Per esempio: come hai fatto a tollerare l'arrivo dei cantanti spagnoli? O l'invenzione degli ausiliari della sosta? Così decido di risolvere a modo questi problemi. La tournée inizia il 19 settembre, a Salsomaggiore».