Umberto Smaila, una carriera tra risate e musica: "Da Jerry Calà a Gorbaciov, da Colpo Grosso a Berlusconi, la mia vita sul palco"
"Ho il cuore di uno zingaro. A casa sto bene un giorno, poi devo scappare, vedere, capire. Ho bisogno di girare il mondo, valigie e aerei mi rendono felice. Questa è la mia vita". Allo Smaila's Gallipoli, Umberto Smaila si mette comodo: sorriso avvolgente, whisky sul tavolo, sigaro in bocca. Ogni tanto si ferma, manda giù un sorso, poi riattacca. C'è chi lo saluta, chi lo abbraccia, chi ritrova l'amico genuino e cordiale di sempre, chi l'artista. Il suo spettacolo è un medley scatenato di successi senza tempo, messi insieme in una combinazione tutta cuore e istinto. E' l'eredità musicale del suo programma di maggior successo. Un repertorio di 800 canzoni che raccontano qualcosa di ben diverso da ciò che resiste di Colpo Grosso nell'immaginario collettivo. E che gli hanno permesso di costruire da zero un marchio che da 26 anni lo identifica nel mondo.
Partiamo dal successo degli Smaila's: quando ha sentito l'esigenza di mettersi in proprio?
"Sul finire degli anni '80 frequentavo ancora i locali come cliente. A un certo punto della serata mi mettevo al pianoforte e nel giro di pochi minuti mi raggiungevano almeno 60 persone, tutte pronte a stappare champagne, per la gioia dei titolari. Una sera Antonello Verona del Sottovento di Porto Cervo mi disse scherzando: Umberto, per favore, puoi smettere di suonare che ho il locale vuoto?".
Fu lì che si accese la famosa lampadina.
"E con gli amici del Bagaglino decisi di dar vita al primo Smaila's di Liscia Di Vacca. Era il 1989. Un anno dopo nacque quello di Poltu Quatu. Tutti sono passati dallo Smaila's: da Alberto Bevilacqua, un grande amico, a Gino Paoli, oltre che a politici, calciatori, presentatori. La magia dello Smaila's di Poltu Quatu è durata fino al 2003, credo che sino a quell'anno sia stato uno dei locali più forti in Italia. Nel mio cuore occupa un posto speciale".
Nell'89 le opzioni non erano molte: o in discoteca o un liscio con Casadei.
"Sono riuscito a dare alla gente quello che voleva in quel determinato momento. Posso dirmi fiero di aver inventato un certo modo di fare musica dal vivo in Italia: una formula in voga ancora oggi, copiata in tutti i contesti, che ha dato lavoro a chissà quanti. Il mio spettacolo può avere mille sfaccettature. Sul palco ho gioco facile, metto a frutto l'esperienza di un lavoro che faccio da quando avevo 8 anni, molto prima del conservatorio, dei complessi beat, dei mitici Gatti. In serate come questa punto sui classici italiani, in contesti diversi viro su un altro repertorio".
Come è accaduto di recente al Teatro Nuovo di Milano.
"Te ne accorgi guardando le curve della mia corporatura: sono un artista a tutto tondo. In teatro posso interpretare i classici di Piaf, Sinatra, Gipsy Kings. Soprattutto, posso raccontare chi sono, da dove vengo o fare il punto su 45 anni di carriera che cadono il prossimo anno".
Proprio il Teatro Nuovo le ha chiesto di portare in scena Fred Buscaglione.
"L'avevo proposto in teatro nel '91, evidentemente i tempi non erano così maturi. Oggi i musical vanno alla grande e non è detto che non torni in scena proprio con Buscaglione."
Quando cita Milano vengono in mente gli anni del Derby Club, gli spettacoli con Cochi e Renato, Villaggio, Jannacci.
"Un periodo bellissimo. Mi sento il responsabile del successo dei miei colleghi. Jerry è diventato quello che è grazie a un'ernia al disco. L'aveva presa il mio contrabbassista, Jerry lo sostituì, ma ad intraprendere una carriera del genere non ci pensava proprio. Nini Salerno voleva dedicarsi al teatro tradizionale. Convinsi anche lui. Nacquero i Gatti di Vicolo Miracoli, un gruppo di attori e cantanti, un po' sulla scia dei Gufi, un gruppo cabarettistico milanese molto in voga negli anni '60".
Le canzoni che ha nel cuore?
"Quelle dei film Arrivano i Gatti, in particolare Verona Beat".
In quel film appare anche Diego Abatantuono. Siete rimasti amici.
"L'ho sentito poco fa, viene a girare un film qui nel Salento. Oltre che uno dei miei attori preferiti, è come un fratello. Anche Jerry lo è. Mi perseguita quasi dalla nascita (ride, ndr). Io sono nato il 26 giugno, lui il 28: festeggiamo insieme da sempre".
Ne vede in giro di nuovi intrattenitori alla Smaila?
"No, ce la giochiamo io e Jerry. Ci sarebbe Fiorello, ma ha dei cachet inarrivabili. Lo dico spesso anche a mio figlio Rudy: per emergere devi fare qualcosa che nessuno sa più fare: intrattenere".
Eppure c'è l'invasione dai talent.
"Potrei fare il giudice ad Amici, credo di poter dare dei buoni consigli. Mi chiedo come mai non abbiano dato vita a una scuola di intrattenimento. Di cantanti, in Italia, ce ne sono anche troppi".
Su Colpo Grosso ha detto: "Al pomeriggio ero l’idolo delle massaie, la notte non so neppure io di chi".
"Conducevo anche Babilonia e C'est la vie sulle reti Fininvest. Il diavolo di notte, l'acqua santa di giorno. Guadagnavo tanti soldi. Non so dove li ho messi. Gorbaciov a Roma si fece proiettare il programma in albergo. Ovviamente invitò tutta la rappresentanza russa presente in Italia. Poi chiese 20 videocassette di Colpo Grosso e se le portò a Mosca".
L'Italia di oggi sorride un po' meno, non trova?
"Mi chiedo perché a nessuno venga in mente di adottare il sistema americano. Tasse al 20%, scarichi tutto, fai girare i soldi, i consumi vanno: infatti da noi è severamente vietato. Siamo innamorati dell'Europa, un paese per vecchi. La Germania, mutatis mutandis, non usa più il moschetto e il saluto nazista ma comanda lo stesso. Chi non è d'accordo sull'euro, viene tacciato di essere destrorso o addirittura fascista".
La Lega di Salvini avanza senza sosta.
"E' un grande comunicatore, ha successo perché dice le stesse cose che senti al bar. Dovrà vedersela con i compromessi della politica. Maroni potrebbe abbracciare una platea più ampia, visti i toni meno rivoluzionari".
Berlusconi è un amico da sempre. Oggi come lo vede?
"In politica poteva essere la persona giusta, ma i tempi non erano maturi. Forse sbaglia quando chiama ancora i suoi avversari comunisti: Renzi e Bindi sono democristiani puri. Ad Arcore si annoia, deve essere in primo piano, la sua punta di narcisismo la conosciamo tutti, fa parte dei suoi pregi. Come imprenditore non si discute. Idem sul piano umano: una persona straordinaria, un amico. Uno che ti dà sempre del tu e viene a salutarti anche a 100 metri di distanza".
Ma anche uno che non si tira mai indietro quando si tratta di salire sul palco.
"Nel '90 mi chiamò la sua segretaria: Berlusconi voleva vedere un mio spettacolo in Sardegna. Andai a casa sua nel pomeriggio, mi sottopose dei classici francesi e provammo per ore, fino al calar della sera. Era talmente preso che non si accorse del buio. Al locale, sul palco, dissi: Stasera con noi c'è il presidente, che sorpresa. Perché non ci raggiunge sul palco per una canzone?. Lui: Volentieri. E io, dopo una lunga esibizione: Pensate, senza aver provato nemmeno una volta. Giù risate. Un successone. Resta, infine, l'uomo in grado di farci vincere 5 Coppe dei Campioni e un sacco di scudetti col Milan".
Partiamo da Inzaghi.
"Un amico, l'ho sempre sostenuto, mi dispiace per lui. Anche se fu Mihajlović, quando giocava nella Lazio, ad alzare la maglietta e a dedicarmi un gol".
Di Ancelotti che ci dice?
"Lo prenderei subito, se avessi i soldi per pagarlo".
Non sia avaro.
"Terrei Ménez, prenderei Messi. Non so se sia giusto chiamare Ibrahimović. La storia delle minestre riscaldate non funziona: se uno torna, non sai se sarà come prima".
Berlusconi aveva bisogno di più sostegno da parte della famiglia?
"Barbara lo segue come può, Marina e Pier Silvio sembrano lontani da quel mondo. Lui si trova in uno splendido isolamento. C'è confusione, non sai chi prendere. In Italia, poi, siamo sempre più malati di esterofilia".
Il Milan ripeterà i fasti di un tempo?
"Siamo in una posizione agnostica. Oltre agli intrattenitori, latitano i calciatori. Dove sono i nuovi van Basten?".
Oltre all'amore per il Milan, cosa la rende ancora così energico?
"La serenità familiare e la felicità. Sono fiero di aver dato ai miei un indirizzo da seguire. Essere felici è essere vivi, mi riconosco in questa frase tratta da un film di Woody Allen. Sono contento di svegliarmi, di guardarmi allo specchio, di pensare che stasera potrò assaggiare un piatto di spaghetti alle vongole. O i tortellini di Valeggio sul Mincio, i migliori del pianeta. Mi eccitano Proust, Céline, i classici russi e Schubert. La gente troppo concentrata sulla tecnologia un po' mi fa sorridere".
Dopo 44 anni sul palco, sente di aver dato tutto?
"Ho ancora due sogni importanti nel cassetto. Il primo potrebbe avverarsi presto ed è uno Smaila's a New York, nella Fifth Avenue: un club per l'eccellenza italiana nel mondo. Me l'hanno chiesto, se va in porto ti chiamo. Poi mi piacerebbe vincere un Oscar per una colonna sonora. Mi rendo conto che sia difficile, non perché non sia in grado, dovrei trovare il mio Troisi o il mio Benigni. Sto alla finestra, aspetto la mia grande occasione".