La recensione

Loro 2, la verità che neanche Sorrentino vorrà mai confessare: perché al regista piace tantissimo Silvio Berlusconi

Gino Coala

Loro di Sorrentino capitolo secondo. Domanda di rito (prima di quella tradizionale se il film è bello o brutto): ci sono le orge, c’è il bunga bunga, il festival delle grandi puttane che dieci anni fa sembrava aver trasformato il Belpaese in una Roma da basso impero? In realtà c’è solo una festona. Che inizia in maniera persino “elegante” (aggettivo adottato dai legali di Berlusconi) col Cavaliere che troneggia a capotavola raccontando barzellette sui comunisti. E poi svacca un pò, con uno show volgarotto di ragazze allegre (ma niente che non si sia già visto nel Loro 1) e termina in maniera un pò triste con Silvio che vorrebbe farsi una ventenne e viene da lei sbrigativamente liquidato (“Presidente, lei mi ricorda mio nonno”). Rifiuto al quale Silvio non ribatte da arrogante uomo di potere, ma da mesto settantenne che dava quasi per scontata l’eventualità di essere snobbato da una ragazza coll’età di essere sua nipote. Tutto qui? Si chiede il comune spettatore. È per questo che il cavaliere ha subito anni e anni di processi e la telenovela è ancora ben lontana dalla fine? Al che il comune spettatore si chiede. O la magistratura ha dato fuori da matta, oppure è Sorrentino che al di là delle cattive intenzioni, s’è lasciato sopraffare dalla simpatia per il personaggio. Sì, perché la simpatia (riluttante) certo è innegabile. Loro 2 parte a spron battuto con una scena irrestistibile con Silvio scatenato che riesce a far comprare un appartamento in centro a una casalinga quasi disperata (una sequenza che tutti gli agenti immobiliari impareranno a memoria). E prosegue con il Bunga a scartamento ridotto, con un Silvio sempre più triste sempre meno convinto del suo carisma (la ventenne lo snobba, Veronica lo lascia, un incontro con un Mike Bongiorno quasi morente lo lascia con i fantasmi della vecchiaia e della morte). Ma l’ultima parola Sorrentino la lascia sempre a lui.Pur messo ormai all’angolo il Cavaliere ha sempre una marcetta in più di chi lo odia o di chi non lo ama più. Se la sua vittoria (di nuovo presidente del consiglio, siamo nel 2008) ha un che di cupo e sinistro, nelle scene del terremoto dell’Aquila, Sorrentino gli dà corda. Il Berlusca promette e mantiene. Riscattandosi (in parte) da tante promesse disattese e rinfacciate nei cento minuti precedenti. Sorrentino a rigore, ricorda di essere un regista di sinistra solo en passant, nei discorsetti frettolosi degli avversari di ieri e di oggi. Allusioni troppo accelerate per essere pesanti, dai favori di Craxi, allo stalliere mafioso, al mistero dei miliardi da cui partì la fortuna berlusconiana. Piacerà, perché il rapporto amore-odio che Sorrentino ha intrecciato col suo nuovo “divo” (ma Berlusconi è certamente più amato dell’Andreotti del film del 2008) è messo in scena dal regista con polmoni narrativi forse unici nell’attuale cinema italiano. Per misurare l’ampiezza dei polmoni basta menzionare non solo i primi sensazionali venti minuti, ma anche la tavolata immensa che precede il Bunga. E la lite con Veronica, inchiodata su una scena fissa come una piece teatrale francese degli anni quaranta. Eppoi il dialogo con Mike dove il film fa arrivare in platea tutta la tristezza agghiacciante della terza età. Infine la sequenza finale all’ Aquila colla statua di Cristo che viene estratta intatta tra le macerie del terremoto. Qui molti faranno riferimento all’idolo di sempre di Sorrentino, Fellini. Non a torto .La dolce vita cominciava col Cristo per aria che volteggiava su una Roma godereccia ma condannata. Il Gesù di Loro due forse è un raggio di luce sulle rovine italiche. di Giorgio Carbone