Il caso
Kung Fury, il film-cult di arti marziali: chi prende a calci Adolf Hitler
Nella lista delle frasi romanesche più sbruffone ce n'è una di particolare efficacia: «Te stacco le braccia e te ce meno». Difficile che in Scandinavia la conoscano, eppure nel mediometraggio Kung Fury, scritto e diretto dallo svedese David Sandberg, si vede il protagonista fare proprio questo: strappare gli arti superiori a un nemico e usarli come arma impropria per picchiarlo. In realtà di cose stravaganti, in questo incredibile film poco più lungo di mezzora, se ne vedono moltissime altre, e del resto è il progetto in sé a essere alquanto bizzarro. Così com'è insolito il modo in cui Sandberg è riuscito a realizzarlo. In poche parole, Kung Fury racconta la battaglia contro Adolf Hitler di un poliziotto che opera nella Miami del 1985. Sì, avete letto bene: contro Hitler. Kung Fury, guarda il video su YouTube Certo, non si tratta precisamente dell’Hitler che tutti conosciamo, ma del resto è l’intero mondo di Kung Fury a essere una variante del nostro. Ci sono somiglianze, ma anche tante differenze. Le leggi della fisica, per esempio, non sono propriamente le stesse, e non potrebbe essere altrimenti visto che nella Miami di Kung Fury, dominata da un’estetica impudentemente anni Ottanta, le cose funzionano come nei film d’azione, nei fumetti di supereroi e soprattutto nei videogiochi. Quindi, non appena il protagonista si rende conto di essere Kung Fury, cioè l’eletto del kung fu, si fa mandare nel passato dal miglior hacker di tutti i tempi, tale Hackerman (un tipo capace di hackerare pure la morte), per uccidere Adolf Hitler (a sua volta virtuoso del kung fu, tanto da farsi chiamare Kung Führer) e impedire che gli effetti nefasti delle sue azioni seguitino a condizionare il presente. A colpi di computer grafica, Sandberg frulla senza misericordia tutto il frullabile: i videogame sparatutto e i robottoni giapponesi, i telefilm americani di trent’anni fa e il cinema di arti marziali, Magnum, P.I. e Ritorno al futuro. Un delirio citazionistico fine a se stesso ma spassoso, che riesce a non risultare stucchevole grazie alla perizia tecnica e all’inventiva dello sceneggiatore-regista, il quale sfodera non poche genialate. Un paio su tutte: il dialogo tra due militari nazisti su chi abbia i baffetti più ariani, degno del miglior Tarantino, e la trovata di conferire al cervello elettronico dell’automobile guidata da Kung Fury la voce e le sembianze del David Hasselhoff di Supercar. Sandberg sembra poi nutrire una speciale passione per la preistoria, dato che ben due personaggi sono dei dinosauri (notevole l’avvertenza al termine dei titoli di coda: «Nessun dinosauro si è estinto durante la lavorazione di questo film»). O meglio, uno è un dinosauro a tutti gli effetti (un Tyrannosaurus rex che darà il suo bel contributo nel combattere Hitler), mentre l’altro è un orrendo essere provvisto di un corpo antropomorfo sormontato da una gigantesca testa di triceratopo: costui, che di nome fa Triceratocop, si rivelerà «il miglior collega» che Kung Fury abbia mai avuto... Interessante, dicevamo, è anche la genesi del film. Con il metodo del crowdfunding, la raccolta on line di denaro tramite le libere donazioni di chi sia interessato a sostenere un progetto, Sandberg mirava a racimolare 200.000 euro: alla fine ne ha messi insieme 600.000 ed ecco così prendere forma Kung Fury, che su YouTube, nel giro di tre giorni, ha già superato i dieci milioni di visualizzazioni (il finanziatore più generoso, per la cronaca, ha sganciato ben 10.000 dollari, acquisendo così il diritto a interpretare un poliziotto rapidamente fatto fuori da un cattivo). La piattaforma di crowdfunding di cui si è servito Sandberg, «Kickstarter», consegna l’intera cifra accumulata, dopodiché il beneficiario è libero di utilizzarla come vuole. C’è insomma la concreta possibilità che Sandberg abbia rimediato, da tutta l’operazione, un discreto gruzzoletto. Bravo, se l’è meritato. di Giuseppe Pollicelli