Parla Gianfranco Butinar

Franco Califano, personaggio scomodo: "Il film su di lui bocciato dal Festival di Roma per motivi politici"

Andrea Tempestini

«Franco Califano paga le sue scelte politiche, la droga e il carcere». Dal 6 novembre arriva nei cinema Non escludo il ritorno, pellicola diretta da Stefano Calvagna che racconta aneddoti e dietro le quinte degli ultimi dieci anni di vita del cantante, interpretato da Gianfranco Butinar, imitatore e amico fraterno del “Califfo”. Butinar, il film è stato escluso dal Festival internazionale del film di Roma. Marco Müller, direttore artistico della kermesse, come ha motivato questa scelta? «La lettera che ci ha inviato è bellissima, quasi commovente, ridicola. Scrive che il film è adatto ad un’ambientazione di livello internazionale ma che, per farla breve, al festival non poteva essere accolto. Se ci fosse stato Alemanno, e non perché sia stato un sindaco esemplare, di danni ne ha fatti, sarebbe stato diverso. Con Ignazio Marino non c’era posto per Franco Califano». Calvagna non ha pensato alla sezione fuori concorso? «Anche questa ipotesi è stata scartata da Müller. E pensare che Calvagna aveva scelto Roma certo che nella città natale di Franco sarebbe stato accolto bene. E invece il direttore artistico ha pensato che fosse più pertinente un film sugli Spandau Ballet che non su un poeta della canzone italiana ». Forse un rifiuto dettato dal respiro locale e non internazionale della pellicola? «Califano non era conosciuto soltanto in Italia. Tutt’altro che provinciale Pensi che nel 1992 l’Università di New York gli ha conferito la laurea honoris causa in Filosofia per la canzone “Tutto il resto è noia”». Quali altri festival erano in ballo? «Per esempio Venezia. Dove il regista, Calvagna, ad ottobre ha ricevuto il Leone d’oro alla carriera. Comunque il 4 novembre ci sarà un’anteprima ad Ostia, il 6 presenteremo a Roma il film con tutto il cast». Chi sarà presente alla proiezione oltre al regista e ai protagonisti? «Abbiamo invitato Federico Zampaglione, Fiorello, Max Tortora». Lei è un imitatore e nel film cesella un Califano invidiabile, nonostante la parrucca e la differenza di età. Che ne pensa delle imitazioni di Fiorello e di Max Tortora? «Quella di Max Tortora è ben fatta, divertente, anche se a suo dire è migliore la mia. Quella di Fiorello, invece, non mi è mai piaciuta». Perché? «Limitativa per descrivere il mondo di Califano. Anche se a Fiorello Franco deve un ritorno di immagine pazzesco negli ultimi anni della sua vita, dopo il tonfo di Sanremo e le comparsate televisive». Lei non è soltanto Califano nel film ma è stato un suo amico, una persona vicina. Come era? Dell’immagine irruenta che poteva dare di sé, del romano apparentemente greve, cosa c’era in realtà nella vita privata? «Nulla. Franco lo conoscevo dal 1991. Era una persona estremamente umile. Un uomo galante, che scendeva ad aprire lo sportello alla donna con cui usciva, qualunque fosse». Perché hanno scelto lei per interpretare il Califfo? «Sono stato chiamato e mi hanno detto solo tu lo puoi fare, solo tu! Io non volevo, perché non è il mio mestiere, però interpretare Califano, è stato quasi un moto di egoismo e di orgoglio. Volevo che nessun altro lo facesse». Cosa c’è di vero nel film? «Tutto. Dalla caduta artistica di Sanremo alla rinascita, alla voglia di restituire calci all’umiliazione di un’intervista estorta da Mario Luzzatto Fegiz alle 3 di notte, quando era già malato. “Califano richiede la legge Bacchelli”. Non sapeva nemmeno cosa fosse». La frase più significativa per lei di Califano? «Vive chi vive e non chi c’è». intervista di Chiara Pellegrini