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La tutela del Mediterraneo è fallita, integralmente protetto solo lo 0,03%
Roma, 29 nov. - (Adnkronos) - I 21 Paesi che si affacciano sul Mediterraneo hanno fallito nell'impegno globale stabilito 10 anni fa (Obiettivo Aichi n.11 nell’ambito della Convenzione internazionale sulla Diversità Biologica) di proteggere entro il 2020 effettivamente ed efficacemente il 10% del loro mare e di fermare la continua perdita di biodiversità nella regione. Lo denuncia il Wwf nel report “Verso il 2020: Fact check sulla tutela del Mediterraneo”. Nonostante sulla carta risulti complessivamente tutelato il 9,68% del Mare Mediterraneo, le aree marine a vario titolo protette (per norme internazionali e nazionali) che hanno propri piani di gestione sono solo il 2,48% e quelle che implementano i propri piani assicurando una gestione effettiva ed efficace sono ancora meno, l’1,27% e localizzate nella sponda nord del Mediterraneo. Se poi si passa a fare un focus su quale percentuale del Mediterraneo sia sottoposta a protezione integrale si scopre che solo lo 0,03% del Mar Mediterraneo beneficia della massima tutela. L’Italia, che è apparentemente in una buona situazione tutelando a vario titolo il 19,12% delle proprie acque territoriali (0-12 miglia marine) e presentando piani di gestione nel 18,04% che tutelano teoricamente i nostri mari, in realtà non si discosta dallo sconfortante quadro generale descritto, considerato che la gestione viene effettivamente implementata solo nell’1,67% delle nostre acque marine. Peccato, perché l’analisi fatta area per area dimostra che una rete di aree protette contribuirebbe fortemente al ripristino del capitale naturale marino che si stima possa generare 5.600 miliardi di dollari all'anno, principalmente nei settori della pesca, acquacoltura e turismo. Ma a distanza di quattro decenni dal suo lancio, la Convenzione e le sue Parti contraenti stanno venendo meno al loro mandato e stanno lasciando il Mediterraneo in gran parte non protetto e sfruttato eccessivamente. La Convenzione di Barcellona per la Protezione dell’Ambiente marino delle Regioni costiere del Mediterraneo fu lanciata nel 1976 per tutelare la grande ricchezza della biodiversità marina del Mar Mediterraneo. Questo bacino, pur costituendo lo 0,82% della superficie degli oceani globali, ospita circa il 7,5% delle specie marine globali, con una presenza stimata recentemente di circa 17.000 diverse specie. L’Italia, con 14.000 specie stimate nelle proprie acque, è uno dei Paesi del Mediterraneo più ricco di biodiversità marina. E delle 8.750 specie indicate nella check list delle specie marine mediterranee, il 10% è nota esclusivamente per i mari italiani e delle 10 specie di cetacei presenti con popolazioni nel bacino ben 8 possono essere considerate regolari nelle acque italiane. La piena tutela, per il Wwf, si può avere solo attraverso le 27 Aree Marine Protette del nostro Paese che, "purtroppo, continuano ad essere la parte più debole del sistema di tutela italiano: frammentate e di piccole dimensioni, con governance inefficace e finanziamenti limitatissimi", dichiara la presidente del Wwf Italia, Donatella Bianchi, ricordando che anche il Santuario dei cetacei ‘Pelagos’, la più grande area di tutela transnazionale dei mammiferi marini istituita al mondo, continua ad essere "un gigante dai piedi di argilla", senza un vero e proprio ente gestore. Senza contare poi le procedure d’infrazione aperte sulla depurazione delle acque e sulla designazione dei siti della rete Natura 2000. Il Fact check del Wwf è stato lanciato in vista della Conferenza delle Parti (Cop21) della Convenzione di Barcellona che riunirà la prossima settimana (2-5 dicembre) a Napoli i 21 governi del Mediterraneo: la richiesta del Wwf è di aumentare in maniera considerevole gli investimenti e le risorse nella gestione delle aree protette e ripristinare habitat e specie marine unici minacciati dallo sfruttamento eccessivo e dagli effetti dei cambiamenti climatici globali. Non solo Italia. La ricerca del Wwf evidenzia ritardi e fallimenti ricorrenti da parte di quasi tutti i Paesi del Mediterraneo nel passaggio da parchi sulla carta ad aree protette ben gestite in mare. Ad esempio, Croazia, Italia, Grecia, Slovenia e Spagna hanno designato una parte considerevole delle loro aree marine come aree a vario titolo protette, ma le misure di gestione finalizzate a proteggere la biodiversità sono spesso inadeguate e, quando effettive, sono limitate a pochissime aree. Altri Paesi, come Albania, Algeria, Cipro, Israele, Marocco, Montenegro, Slovenia e Turchia, hanno limitato i loro sforzi di gestione a pochi o piccolissime aree protette. Egitto, Libano, Libia, Siria, Tunisia e Monaco non hanno attuato o approvato alcun piano di gestione o monitoraggio nelle aree che sostengono di proteggere. Una parte insignificante del mare, calcolata allo 0,03%, è attualmente completamente protetta da qualsiasi intervento umano.