Sostenibilita
Lo sfruttamento delle risorse disponibili in natura minaccia le aree protette
Roma, 22 ago. - (Adnkronos) - Il petrolio nel parco Nazionale Yasunì-Itt; i rigassificatori offshore nel Santuario dei Cetacei; le licenze di sfruttamento petrolifero concesse nel Parco Nazionale del Virunga. Sono solo alcuni casi in cui gli interessi economici si scontrano con la tutela ambientale e hanno come teatro del conflitto aree marine protette, parchi e riserve nazionali, luoghi di interesse paesaggistico, ambientale, sociale. Ultimo in ordine di tempo, il caso del parco nazionale Yasunì Itt (Ishpingo-Tambococha-Tiputini), polmone verde del pianeta riconosciuto dall'Unesco come l'area più ricca dal punto di vista della biodiversità, che apre le porte allo sfruttamento petrolifero per decisione del presidente dell'Ecuador Rafael Correa. A rischio anche il Parco Nazionale del Virunga nella Repubblica democratica del Congo, una delle aree protette più famose del mondo, dove vivono gli ultimi gorilla di montagna. Qui, il Wwf è da tempo impegnato nella campagna contro le licenze di sfruttamento petrolifero concesse alla compagnia britannica Soco e chiede al governo di Kinshasa di applicare la legge che vieta l'estrazione di petrolio nelle zone protette. Lo sfruttamento delle concessioni petrolifere, denuncia l'associazione del Panda, sono state allocate sull'85% della proprietà del Patrimonio Mondiale dell'Umanità e porterebbero inquinamento, instabilità e disoccupazione. Anche l'Unesco ha chiesto l'annullamento di tutti i permessi di esplorazione di petrolio nel Virunga e si è appellato ai titolari delle concessioni come la Total Sa e la Soco International Plc affinché non avviino le attività. La Total si è impegnata a rispettare l'attuale confine del Virunga, lasciando la britannica Soco come unica compagnia petrolifera con piani di esplorazione petrolifera all'interno del parco. Le condizioni di vita di oltre 50.000 persone - fa sapere il Wwf - dipendono dalla conservazione e dall'economia verde creata dal Parco che ospita oltre 3.000 diverse specie di animali e molti degli ultimi 880 gorilla di montagna esistenti, in pericolo di estinzione. In Italia Greenpeace ha denunciato la presenza di un rigassificatore nelle acque del Santuario dei Cetacei, a 12 miglia dalla costa tra Livorno e Pisa, per il quale gli ambientalisti chiedono garanzie e chiarimenti. E' la nave Fsru Toscana (rigassificatore offshore Olt), "il primo caso al mondo a noi noto di una nave-rigassificatore, cioè che trasporta e rigassifica direttamente in mare, mentre normalmente i rigassificatori in tutto il mondo si costruiscono nei porti", ha spiegato Alessandro Giannì, direttore delle Campagne di Greenpeace. Una presenza che preoccupa sotto diversi punti di vista, dalla tutela ambientale alla sicurezza dei lavoratori. "In caso di rottura del braccio meccanico che trasferisce il gas liquefatto da una nave all'altra, si sverserebbe in mare una sostanza che assorbe rapidamente calore dall'acqua, espandendosi rapidamente e gassificando. In poche parole, causando un'esplosione", aggiunge il responsabile Campagne di Greenpeace. C'è poi la questione degli scarichi di cloro, come conseguenza dell'avvio dell'attività: Greenpeace stima che ogni anno l'impianto possa sversare in mare decine di tonnellate di ipoclorito di sodio. E per rimanere in Italia, dal Mar Ionio al Canale di Sicilia, Legambiente denuncia la caccia di nuovi giacimenti da parte di compagnie petrolifere, anche in aree ad alto valore ambientale e naturalistico. Fino al luglio 2011 lo Ionio era vietato ad attività di ricerca e nuove estrazioni petrolifere, poi - fa sapere l'associazione ambientalista - con un emendamento in un decreto legge è stata di nuovo sbloccata la corsa all'oro nero e oggi sono 10 le richieste attive per oltre 5mila kmq di mare interessati dalle compagnie. Grande fermento anche nel Canale di Sicilia: oltre alle 4 piattaforme già attive, che rischiano di diventare 5 se venisse approvato il progetto della Vega b, sono quasi 7mila i kmq interessati da richieste o ricerche di nuovi giacimenti. Non è area protetta, ma considerata sacra dalla tribù che la abita e che cerca di difenderla da un progetto minerario. In India, la tribù dei Dongria Kondh si batte contro il gigante minerario Vedanta Resources e il suo progetto di aprire una miniera a cielo aperto sulle colline di Niyamgiri, considerate appunto sacre. All'unanimità, i Dongria che abitano in 12 villaggi, hanno votato contro la miniera in occasione delle consultazioni ordinate dalla Corte Suprema indiana. I risultati delle consultazioni devono essere ora valutati dal Ministro indiano dell'Ambiente e delle Foreste, a cui spetta l'ultima parola in merito. Secondo Survival International, la miniera avrebbe già distrutto le foreste e interrotto il corso dei fiumi delle colline di Niyamgiri, fulcro della vita e dell'identità degli 8mila membri della tribù, segnando così la fine dei Dongria come popolo autosufficiente.