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Il 'lato oscuro della conservazione' secondo Survival International
Roma, 13 nov. - (AdnKronos) - Popoli indigeni sfrattati illegalmente dalle loro terre, accusati di bracconaggio semplicemente perché cacciano per procurarsi il cibo, rischiano di essere arrestati, pestati, torturati e uccisi dalle squadre anti-bracconaggio, mentre sono benvenuti i turisti e, in alcuni casi, persino i cacciatori di trofei paganti. E' una dura accusa quella che Survival International lancia nei confronti delle associazioni preposte alla conservazione, tornando ad attaccare il Wwf, ma non solo. Accuse contenute nel rapporto "Parks Need Peoples" (I parchi hanno bisogno dei popoli) lanciato in occasione del Congresso Mondiale sui Parchi che si tiene in questi giorni a Sydney (conferenza internazionale sulla conservazione delle aree protette che si svolge ogni dieci anni). In questo rapporto in cui il movimento mondiale per i diritti dei popoli indigeni spiega come la conservazione abbia di fatto portato allo sfratto di milioni di indigeni dalle aree protette. Survival chiama in causa molte delle principali organizzazioni per la conservazione, tra cui Wwf e The Nature Conservancy, e sottolinea che la campagna "United for Wildlife", promossa dai principi William e Harry, non ha risposto agli appelli che la sollecitavano a sostenere il diritto dei popoli indigeni a vivere nelle terre tradizionali e a cacciare per nutrirsi. Il rapporto di Survival denuncia che quasi tutte le aree protette sono, o sono state, terre ancestrali di popoli indigeni; terre che i popoli indigeni hanno gestito, e da cui hanno dipeso, per millenni. Tuttavia, nel nome della “conservazione” i popoli indigeni vengono sfrattati illegalmente da queste terre, accusati di “bracconaggio”. Il rapporto “Parks need peoples” indaga su alcuni recenti casi di sfratto, come quello dei Baka in Camerun, dei Boscimani in Botswana e dei popoli tribali dalle Riserve delle tigri in India. Questo modello di conservazione risale alla creazione dei parchi nazionali di Yellowstone e Yosemite avvenuta negli Stati Uniti nel XIX secolo, e a cui seguì lo sfratto violento delle tribù di Nativi Americani. Secondo l'associazione, l’attuale modello di conservazione deve cambiare in modo radicale, rispettare la legge internazionale, proteggere i diritti dei popoli indigeni sulle loro terre, chiedere loro qual è il tipo di aiuto di cui hanno bisogno per proteggere le terre, ascoltarli e sostenerli. “Ogni giorno i conservazionisti spendono milioni di euro, ma l’ambiente è in crisi crescente. È arrivato il momento di aprire gli occhi e capire che c’è un’altra via, decisamente migliore - dichiara il direttore generale di Survival International, Stephen Corry - Innanzitutto, i diritti dei popoli indigeni devono essere riconosciuti e rispettati. In secondo luogo, questi popoli devono essere trattati come i migliori esperti nella difesa delle loro terre. I conservazionisti devono capire che i partner junior devono essere loro stessi, e non i popoli indigeni".