Inviato di guerra

Massimo Giletti, dall'Arena all'Iraq: "Ho visto l'Isis e il mio talk non si fa battere da Rambo"

Giulio Bucchi

«Quello che voglio fare è il racconto filmato. E siccome qualche idea ce l’ho, pur facendo il talk show, sono pronto a ripetere l’esperienza fatta in Iraq. L’importante è entrare in una pianificazione che ti permetta di fare questi viaggi». E di viaggi così, di «racconti filmati», Massimo Giletti, sempre più vincente, ma soprattutto sempre più convincente conduttore de L’Arena, il talk della domenica di Rai Uno che si è aggiudicato il secondo posto del Qualitel (la classifica che misura la qualità dei programmi tv), ne ha in mente tanti. Lunedì sera su Rai Uno, alle 23,40, va in onda il suo reportage «Uomini senza volto», un crudo racconto dal Kurdistan iracheno. È un altro Giletti che si affianca a quello de L’Arena?   «Credo che la Rai abbia il dovere di non lasciare ad altre reti il racconto filmato. Il reportage non può essere una prerogativa de La7 o di Sky. Non si può abdicare alla logica del racconto, del documentare. E per farlo bisogna andare lì, sul posto».  E la Rai, questa Rai, è pronta a raccogliere la sfida?   «Monica Maggioni, attuale presidente della Rai, ha fatto del racconto la sua cifra professionale e sono convinto che sia su questa linea. Lo stesso direttore generale, Antonio Campo Dall’Orto, è uno che conosce il prodotto. Spero che il reportage di lunedì sera sia uno stimolo anche per loro».  A proposito della Maggioni, la presidente ha parlato di rinnovamento dei programmi e del cambiamento degli uomini.  «Chi ricopre posti di vertice deve sempre prendersi delle responsabilità e le responsabilità passano anche attraverso il cambiamento degli uomini, ovviamente in rapporto al prodotto che fanno. È un percorso difficile, ma una dirigenza credibile deve fare queste scelte. I dati sono chiari».  Ma Giletti si vede al posto di Bruno Vespa, alla conduzione di Porta a Porta?  «Ho troppo rispetto per personaggi come Vespa. Hanno una storia di un livello così alto che spetta agli altri decidere. L’Arena, grazie al mio gruppo di lavoro, ottiene grandi risultati di ascolto (la media è del 20% di share, ndr) a basso costo. Qualcuno deciderà il nostro futuro».  Michele Santoro ha sempre detto di volersi dedicare alle docu-fiction e oggi è fuori dal video. Corrado Formigli, con Piazzapulita, ha detto di voler puntare sui reportage, sugli esteri, anche se dedica molto spazio alla politica. Non c’è la sensazione che dietro la crisi di certi programmi ci sia la mancanza di coraggio, limitandosi solo al contingente?  «Formigli ed io veniamo dalla stessa storia. Lui è cresciuto con Santoro, io con Giovanni Minoli. Due grandissimi maestri. Oggi è difficile per chi, come noi, fa un prodotto settimanale, dedicare ulteriori energie per fare altro. È ovvio che l’attualità incombe sempre. Però il racconto filmato si può e si deve fare, usando anche conduttori importanti, anche se è molto complicato».  Resta il fatto che la crisi dei talk è oggettivamente forte.  «I dati sono chiari. Al di là delle battute e delle simpatiche forzatura se ti supera Rambo qualcosa vuol dire. Per mia fortuna L’Arena non rientra in questa crisi, grazie anche al mio gruppo di lavoro».   Ovviamente non ci sono solo gli esteri da raccontare? «Certo, anche in Italia c’è molto documentare. La tv è immagine è sa essere molto forte». Dall’esperienza in Iraq cosa ha portato a casa?   «L’idea che l’Isis è molto più vicina e noi facciamo finta di non capirlo. I militari fanno il loro lavoro sul campo, ma senza la politica non si trovano gli equilibri. Ho l’impressione che l’Occidente faccia ancora fatica a vedere che loro sono molto più vicini di quanto non sembri».  E l’emozione più forte qual è stata?  «Vedere in faccia il nemico, a 200 metri da me. Quando ho tirato su la testa, in quell’attimo ho provato qualcosa di unico. E quella è un’emozione forte, nonostante i tanti rischi legati alla presenza dei cecchini».  Sarà una bella puntata, allora.  «Vedremo». di Enrico Paoli twitter@enricopaoli1