La recensione
Selvaggia Lucarelli: "Ma che sciagura per noi donne l'amore secondo Filippo Facci"
Se tutte le donne leggessero il libro di Filippo Facci “Uomini che amano troppo”, il dramma femminicidio sarebbe ridimensionato in ventiquattro ore per cedere il passo all’allarme androcidio. Perché credetemi, che siate sposate da venticinque anni o single da trenta, dopo questa lettura sarete colte dall’incontenibile pulsione di liberare il mondo da tutti i maschi portatori insani di cinismo, volgarità, bieco sessismo e ingenue convinzioni di cui è intriso questo libro. Cominciamo dal primo capitolo, “Ora però sparisci”, in cui il buon Facci ci mette al corrente del fatto che dopo un amplesso, il sogno di ogni uomo consiste in una botola. Sì, avete capito bene. In una botola. Perché loro, gli uomini, dopo aver scopato (la parola “scopare” nel libro c’è una riga sì e una no, perché “scopare” fa maschio, come “Sono sereno” fa indagato e “Bella zio!” fa rapper), desidererebbero con ardore che si aprisse una botola sotto le nostre chiappe e che attraverso un cunicolo, finissimo in strada. Attenzione, il cunicolo è a scivolo e sulla strada troveremmo già un taxi ad aspettarci, perché Facci non pratica sdolcinamenti post-coito ma neanche l’ineducazione di farci sbucciare le ginocchia o di lasciarci lì, di notte, sul ciglio della strada. Non desidera certo che qualcuno di passaggio ci dia delle zoccole, anche perché lo fa lui nelle successive duecento pagine del libro e sarebbe davvero un peccato togliergli l’esclusiva. Facci desidera solo che una donna, finito l’amplesso, si tolga dalle balle il più velocemente possibile. Ignorando, il signor Facci, un’amara verità che mi offro di svelargli io, visti i suoi 47 anni suonati: a noi donne l’idea della botola non offende affatto. Ci fa anzi sorridere, perché tra svogliatezza e incapacità sessuale del maschio medio, noi la botola arriviamo a desiderarla non post-coito ma durante e talvolta anche prima, e non è neppure una botola, ma un collasso strutturale del pavimento sotto la sua parte di letto. E se il cunicolo anziché a scivolo fosse perpendicolare al suolo e ad attenderlo ci fosse un taxi guidato da Lorena Bobbit, saremmo in parecchi casi anche più contente. Poi c’è l’avvincente capitolo “Ti voglio gonfiabile”, in cui il nostro Facci conversa amabilmente con un amico avvocato. Dopo una serie di profonde considerazioni escatologiche quali «Le modelle sono troppo magre e scopano male perché sono egoriferite» (l’autore deve trovare parecchio consolatorio credere che sia lui a non averla voluta e non Kate Moss a non avergliela data) o «Le donne dovrebbero farle tutte gonfiabili» (sì, e gli uomini possibilmente tutti sgonfiabili, caro Facci), passa ad un’appassionante analisi della cadenza stagionale della masturbazione maschile, arrivando alla conclusione scientifica che l’uomo si masturbi più a luglio perché il caldo provoca la vasodilatazione, non si usano coperte pesanti e le donne si svestono di più. Ora, a parte che immagino già Piero Angela fare un cazziatone al figlio Alberto perché a questo studio rigoroso e scientifico sull’onanismo maschile nella bella stagione non si è dedicato lui, mi piacerebbe suggerire una possibile soluzione alla questione “picco della masturbazione maschile col caldo”: tra slippini bianchi metrosexual, pinocchietti e petti glabri come la testa di un neonato, forse le donne d’estate ormai preferiscono accoppiarsi con un licaone maculato che con un maschio, per cui all’uomo non resta che l’amore solitario. Ma sono ipotesi che nel mondo maschiocentrico di Facci non sono neppure contemplate, c’è da capirlo. Arriva poi l’argomento dimensioni maschili, che all’autore deve stare molto a cuore, vista la ripetitività con cui lo ripropone in vari capitoli del libro. Deve essere un problema di un amico, ovviamente. Prima afferma che le orientali sono irrimediabilmente attratte dall’uomo italiano perché gli orientali ce l’hanno piccolo mentre gli italiani figuriamoci, hanno tutti una torcia da grotta nelle mutande. Poi ci pensa un po’ su e deve balenargli in testa l’idea che qualche italiana non sia così ottimista sulle dimensioni dei suoi connazionali e allora afferma che le donne che si lamentano delle dimensioni potrebbero avere loro il problema di possedere la galleria dello Stelvio e altre finezze che vi risparmio. Infine sì, c’è una donna che una volta l’ha accusato di averlo piccolo, ma era per umiliarlo alla fine di una relazione. Ho riflettuto a lungo su cosa abbia detto io alla fine delle mie relazioni ai miei ex e mi sovvengono solo grandi verità, ma lascerei l’autore libero di sguazzare nel brodetto caldo delle sue certezze. Di perle però ce ne sono tante altre. La mappatura della disponibilità sessuale femminile è esilarante. Per l’autore le brasiliane basta ubriacarle - e in effetti me la immagino Gisele che dopo due mojiti lancia la giarrettiera sulle meches di Facci. Con le giapponesi basta il petto villoso, quindi presumo che a Tokyo siano tutte col poster di Salvini in camera. Per le finlandesi «Vuoi scopare?» è una domanda normale, tipo «Ma Filippo Facci che trauma ha avuto con le donne?». Le americane l’hanno sempre data via facile, ora però si stanno riconvertendo a modelli più tradizionali e pretendono pure di essere corteggiate, roba che un uomo si deve pure prendere la briga di portarle fuori a cena prima di infilare loro una mano nelle mutande. Pensa te quanti convenevoli. Poi c’è l’odio ancestrale che Facci nutre per le trentenni. Sappiate che se siete del 1980 o giù di lì e incontrate Facci di notte in un vicolo buio, potrebbero ritrovarvi seppellite in tranci nel suo giardino anni dopo. Per l’autore le trentenni «scopano male perché è un’età di mezzo e non sanno dove voltarsi» e hanno lo sguardo perenne di chi cerca. Non una via d’uscita quando incontrano Facci a una festa, ma l’uomo della loro vita, quello da sposare, ad ogni festa in cui vanno. Inutile spiegare a Facci che alle donne ormai di sposarsi non frega un’emerita cippa, al limite quello sguardo lì ce l’hanno a quaranta e più che un marito cercano un uomo con cui fare un figlio, perché questo libro più che “Uomini che amano troppo” dovrebbe intitolarsi “Uomini che amano troppo i luoghi comuni”. E questo è il libro di Facci. Una sequela di luoghi comuni banali e polverosi su quanto sia poco sexy la donna ciabattosa o di quanto le donne siano già zoccole da adolescenti mentre i maschi a quell’età sono tutti delle anime candide che giocano con i pupazzetti (quelli che sputtanano le ex fidanzatine mandando le loro foto hot su whatsapp agli amici Facci se l’è dimenticati) o di quanto gli uomini ricorrano al Viagra perché le donne non sanno sedurre o che le donne più sono intelligenti e meno sono sensuali e così via. Insomma, un libro nel quale le donne sono colpevoli di tutto e in cui gli uomini non hanno limiti ma solo donne limitate, al massimo. Un libro che però ha un innegabile pregio: si legge in 10 minuti. Parecchio di più della durata media del maschio moderno, insomma. di Selvaggia Lucarelli