Un secco "no"
Carne sintetica? Gianluigi Paragone: vi spiego perché è una bufala
La carne sintetica è una bufala, ma non di quelle che soprattutto in questo periodo mettiamo al centro delle nostre tavole corredate da pomodori e foglie di basilico o qualche fetta di ottimo prosciutto italiano; o ancora come condimento alla pasta. No, la carne sintetica è una bugia, una bufala che in pochi si stanno prendendo la briga di svelare. Va riconosciuto alla Coldiretti il primato di essere il più arcigno baluardo di difesa. Ieri nella loro sede sono stati presentati un manifesto aperto a tante altre realtà associative e una ricerca assai interessante. Ecco, io penso che Coldiretti non vada lasciata sola perché questa battaglia di difesa è una trincea persa la quale rischiamo di trovarci in una “nuova era alimentare” che si sovrappone a una nuova era culturale opposta a quella che ci appartiene e che si incista nella cultura della dieta mediterranea. La carne sintetica, innanzitutto, non esiste: è una carne coltivata con tecniche industriali, tra l’altro assai violente.
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E sarebbe interessante che trasmissioni come Report, sempre così attente a svelare i (pochi) allevamenti strazianti e incivili, puntassero le telecamere sulla violenza insita nella pratica della coltivazione funzionale alla creazione della carne sintetica: si fanno ingravidare le vacche, si estrae il campione di tessuto muscolare per la coltivazione della “nuova” carne e poi si uccide il feto. Beh, se la frontiera della carne sintetica dev’essere incentivata perché così le bestie non soffrono, mi sembra che non ci siamo; ma la gente non lo sa. Così come non sa che l’impatto della produzione della carne coltivata sull’ambiente è decisamente poco ecosostenibile, come dimostrano importanti ricerche sul notevolissimo consumo di energia elettrica e di acqua. Insomma, di altruismo alimentare, come si evangelizza dalle parti della Silicon Valley, c’è ben poco.
LOBBY PRODUTTIVE
Allora la domanda è: perché in Europa si spinge così tanto sulla carne sintetica? Per due motivi: il primo è che alcune lobby produttive hanno puntato i loro investimenti su questo settore che si avvia con la carne e poi si stenderà a tutto il resto (Bill Gates è il primo latifondista privato americano) e il fatto che l’Italia e l’Europa occupino una quota di mercato importante rientra in una guerra commerciale a tutti gli effetti; il secondo è che questo filone produttivo sta dentro una filosofia omogenea alla cultura anglo-americana. La ricerca presentata ieri in Coldiretti ci fa capire la differenza abissale tra due sistemi valoriali legati al cibo: il sistema dei Paesi mediterranei, Italia in testa, dove il cibo è identità, è piacere, è condivisione; e il sistema dei paesi anglosassoni dove il cibo è visto nella sua unica funzione utilitaristica.
Da questo punto di vista è interessante il dato legato all’imprinting: pensando all’infanzia i genitori italiani si preoccupavano di quel che si dava da mangiare ai figli in maniera preminente; cosa che non si registrava negli Usa, in Australia, in Gran Bretagna e nemmeno in Olanda che è il Paese che in questa ricerca non a caso si mette sulla scia della tradizione angloamericana; e non è un caso che l’Olanda abbia cominciato la rivoluzione della carne sintetica. Il cibo e il vino per gli italiani rappresentano un pezzo fondamentale della cultura nazionale, quanto il paesaggio e il patrimonio artistico, persino più dello sport! Dunque la trincea dell’agroalimentare va presidiata dai deliri dell’Unione europea e dall’attacco che arriva dai grandi interessi, e va fatto per il benessere dei cittadini, per interesse economico (se perdiamo il Pil che gira attorno all’agroalimentare andiamo a carte e quarantotto, sia chiaro a tutti) e per questioni di identità nazionale nel senso più alto e culturale del termine. Anche per questo motivo Coldiretti non va lasciata sola.