Carne sintetica? "Ormoni, antibiotici e...": choc, cosa contiene davvero
Un documento diffuso recentemente da Oms e Fao individua i potenziali pericoli legati alla diffusione della carne artificiale, ottenuta in laboratorio. Se n’è parlato nell’immediatezza della diffusione del report. Poi più nulla. Ne parliamo con il professor Giuseppe Pulina, ordinario di Etica e Sostenibilità degli Allevamenti presso il dipartimento di Agraria dell’Università di Sassari e presidente di Carni Sostenibili. «In questo momento non sono chiare le procedure utilizzate dalle grandi industrie che si stanno preparando a produrre questo cibo», spiega a Libero, «abbiamo alcune evidenze sulle produzioni “laboratoristiche” e non di natura industriale. Non c’è stato uno sviluppo tale da poter disporre di una quantità di biomassa per eseguire una analisi del rischio che riguardi anche l’esposizione a eventuali pericoli».
Di quale rischio stiamo parlando?
«Il rischio che si verifichi un eventuale evento avverso».
E quanto è probabile che si verifichi?
«Se non ho una casistica sufficiente non posso calcolarlo. Mentre per la carne naturale possiamo studiare gli effetti dopo due milioni e mezzo di anni da quando i primi ominidi iniziarono a cibarsene, per la carne artificiale non esistono dati epidemiologici che ci consentano di quantificare i rischi legati all’assunzione».
Quindi non ha sbagliato il governo che ne ha vietato la vendita nel nostro Paese?
«Direi proprio di no. Il governo ha deciso in base al principio di precauzione, in mancanza di fattori di valutazione».
Dunque non si sa nulla sui rischi potenziali?
«Nel documento pubblicato recentemente dalla Fao e dall’Organizzazione mondiale della sanità sono censiti 53 rischi. Alcuni sono comuni alle filiere della produzione di cibo, come le contaminazioni batteriche, la presenza di microplastiche o materiale intruso, inquinamento da metalli pesanti. Alcuni rischi censiti nel documento riguardano specificamente la carne coltivata e fanno riferimento al metabolismo che si verifica all’interno dei bioreattori».
In particolare cosa riguardano?
«La fase di proliferazione cellulare che richiede un substrato molto ricco di fattori di crescita ma anche di altri additivi di natura industriale...».
Ad esempio?
«I processi di proliferazione veloce producono schiuma. È necessario aggiungere abbattitori della schiuma, correttori di pH, sostanze che facilitino la respirazione cellulare...».
Tutto qui?
«Assolutamente no. Devo inserire dei fattori di crescita».
La moltiplicazione cellulare è decisiva...
«Senza dubbio».
E come funziona?
«Per semplificare, ottenuto un segmento di tessuto muscolare con una biopsia su un animale lo faccio reagire con enzimi digestivi che separino le cellule staminali. Le raccolgo, le crioconservo e le faccio moltiplicare per ottenere il tessuto muscolare. Conclusa la fase di moltiplicazione inverto alcuni fattori di crescita e attivo la parte del genoma che struttura le cellule in microtubuli che vanno a costituire i miociti, cioè le cellule muscolari di base che andranno a formare il tessuto muscolare».
Fermiamoci un attimo. Come faccio ad attivare la moltiplicazione cellulare?
«Servono dei fattori di crescita che nella dottrina della coltivazione cellulare in vitro sono costituiti da siero fetale. Nel caso specifico la formula magica è rappresentata da un 20% del substrato di coltura costituito da siero fetale bovino e 10% da siero fetale equino. Fattori di crescita di tipo ormonale».
Parliamo di ormoni?
«Le case che producono questo tipo di carne dicono di essere riuscite a sostituire i fattori di crescita animali con sostituti vegetali alcuni dei quali sono abbastanza efficienti. In grado cioè di attivare la fase di proliferazione cellulare. Ma qualunque sia il fattore che innesca la proliferazione alcuni ormoni devono essere comunque impiegati per aiutare le cellule a differenziare la parte del genoma indispensabile per la proliferazione. In particolare l’ormone Igf 1 che viene ottenuto per sintesi da microorganismi geneticamente modificati, assieme a delle somatomedine per ottenere un brodo di coltura che consenta alle cellule in una situazione extracorporea di proliferare».
In pratica viene simulata la crescita fetale?
«No. Il processo che si verifica nei bioreattori simula piuttosto quello delle ferite».
In che senso?
«Quando si produce una ferita nel tessuto muscolare si attivano le cellule staminali e la cascata di fattori biochimici che ho riassunto brevemente. E il muscolo si ripara: attiva le cellule staminali che si replicano, a un certo punto smettono di replicarsi, si uniscono e creano i microtubuli che poi danno origine alla fibra muscolare. Il muscolo si ripara anche se non totalmente perché è uno dei tessuti che non hanno capacità di autoriparazione elevata. Però il processo è efficace per ristabilire la funzione di base del muscolo. Ecco, la produzione di carne artificiale è la simulazione di una grande ferita inferta a un muscolo».
Ma questo processo dove avviene?
«Avviene in grandi bioreattori che lavorano a 36, 37 gradi centigradi con una concentrazione di ossigeno elevata, mentre è necessario rimuovere l’anidride carbonica che si origina dai processi vitali delle cellule e in questo ambiente l’inquinamento è dietro l’angolo. Microorganismi, microplasmi...». Microplasmi? «Sì, ma anche virus, batteri e funghi».
E come si evita l’inquinamento batterico?
«Con gli antibiotici che ho trovato almeno nel 70% delle ricerche che ho consultato. Ma non ci sono alternative se si vogliono evitare infezioni nei bioreattori».
Accade anche negli allevamenti?
«Non proprio. Gli animali possono contare sulle difese immunitarie di cui la carne artificiale è totalmente priva».
Dunque oltre agli ormoni pure gli antibiotici?
«Se sono bravo ed evito le infezioni batteriche nei biodigestori posso anche evitarli. Ma devo essere veramente bravo». I fautori della carne sintetica sostengono che sia più sostenibile, non inquini e sia “green”.
È davvero così?
«Purtroppo no. C’è il problema dei cataboliti...».
Vale a dire? «Le scorie derivanti dalla vita delle cellule che negli animali, come negli esseri umani, vengono rimossi e metabolizzati. Ad esempio l’acido lattico che nell’organismo viene trasformato in glucosio e rimesso in circolazione. Nei bioreattori devo espellere prima possibile i cataboliti altrimenti acidificano l’ambiente dove si verifica la moltiplicazione cellulare».
Ma lei ha avuto modo di lavorare su campioni di carne artificiale per verificare quali siano le scorie prodotte da questo processo? «No».
Come mai?
«Chi la produce si rifiuta di metterla a disposizione della ricerca».