L'intervista
Vaccino, l'immunologa Luigina Romani: "Per chi funziona di più" e chi rischia di restare scoperto, i 2 fattori decisivi
«La risposta ai vaccini è personale».
Cioè?
«A inizio mese su Science Translational Medicine e su Science, due delle riviste scientifiche più prestigiose al mondo, sono stati pubblicati altrettanti lavori di grande impatto che mettono in correlazione l'efficacia della vaccinazione con un possibile contagio precedente da Coronavirus ambientali, quindi non solo Covid-19».
Significa che il vaccino sarebbe più efficace su chi in passato ha già contratto un Corona?
«Sì. Ma naturalmente ci sono altre variabili, ad esempio il tasso di vaccinazione di una popolazione: più vaccinati, maggior effetto della vaccinazione. La risposta, dunque, oltre che personale sarebbe regionalizzata: negli Stati Uniti potrebbe avere un valore, in Israele un altro, in Italia un altro ancora».
La professoressa Luigina Romani è un'autorità nel campo dell'Immunologia. Docente ordinario alla facoltà di Medicina e Chirurgia di Perugia e presidente del Collegio nazionale dei Patologi Ordinari Italiani e vicepresidente SIPMET, è autrice di oltre 400 pubblicazioni internazionali, è stata tra le prime studiose delle cellule "T", è esperta mondiale sulla risposta immune ai microbi e ha ricevuto numerosi premi, il più recente è il "Lucille George" dell'International Society for Human and Animal Mycology. Ha studiato una serie di molecole poi brevettate per terapie in diverse patologie umane.
Ipotizziamo: prima e seconda vaccinazione effettuata con Pfizer, e nessun effetto collaterale. Alla terza ci viene somministrato Moderna: dobbiamo preoccuparci di nuovo di eventuali reazioni avverse?
«Pfizer e Moderna sono molto simili, cambia solo la veicolazione dell'mRNA, quindi nella stragrande maggioranza dei casi direi di no. La questione potrebbe cambiare in caso di eterologa con Pfizer e Astrazeneca, perché sono due tipologie di vaccino differenti, ma comunque i dati ci mostrano che non solo non ci sono reazioni avverse, ma anzi la protezione è migliore».
Altra ipotesi: la seconda dose ha dato una risposta immunitaria insufficiente. È corretto sottoporsi comunque alla terza?
«In una persona senza manifesti segni di immunodeficienza la seconda somministrazione funziona, è quasi matematico. Se non funziona vuol dire che il sistema immune non lavora in modo adeguato. Arrivo al dunque: nel caso di over 60, quindi di fronte a un sistema immune che potrebbe essere più lento, allora la terza dose va bene. Se invece non è scaturita una protezione sufficiente perché abbiamo scoperto che il sistema ha qualche disfunzione, a quel punto ho i miei dubbi che continuare a stimolare qualcosa che non funziona bene dia qualche beneficio».
Sarebbe rischioso?
«Potrebbe portare a un risultato diverso da quello sperato».
Terza dose, ma Locatelli, coordinatore del Cts, ha già parlato di quarta. Magari poi di quinta e sesta, e il rischio è che alla lunga la gente perda fiducia.
«Innanzitutto la terza si dimostra molto utile nella prevenzione della variante Omicron: lo dicono gli studi israeliani. Però, e voglio sottolinearlo, l'efficacia vaccinale non può essere calcolata solo sul rilievo degli anticorpi, non è predittivo: gli anticorpi non sono tutti uguali, e casomai dovremmo misurare gli anticorpi neutralizzanti il virus. Inoltre gli anticorpi sono per natura delle proteine plasmatiche che hanno un loro turnover, significa che dopo un po' si eliminano, a differenza della risposta dei linfociti "T", ossia le "cellule della memoria". Senza di questi non ci saremmo vaccinati né contro il tetano né contro il vaiolo. E noi questi linfociti "T" non andiamo a vederli».
Perché?
«Il test è molto più difficile, richiede più tempo. Lo Spallanzani, a Roma, lo fa. Anche qualche laboratorio privato. Lo facciamo anche a Perugia, ma a livello di ricerca: non è un test previsto a fini diagnostici dal ministero della Salute. Conosco diverse persone che sono andate in Svizzera a fare l'esame».
Vaccinazione dei bambini.
«Il sì è unanime. Dopo averne vaccinati milioni, tra Stati Uniti e Israele, è stato ampiamente dimostrato che sono molti di più i benefici che i possibili rischi».
Mascherina all'aperto: è un provvedimento che ha valore scientifico o politico?
«La seconda, tranne in caso di assembramenti. Io la tengo anche all'aperto, ma è più che altro un messaggio, come a dire "non abbassiamo la guardia"».
Abbiamo sbagliato a parlare per un anno e mezzo di immunità di gregge?
«No, perché abbiamo lavorato con le conoscenze che avevamo. Il punto è che l'immunità di gregge, con questo virus, in tempi di pandemia non si raggiunge. Lo abbiamo capito successivamente, ma la vaccinazione rimane sacra, il calo di decessi e ospedalizzazioni rispetto a 12 mesi fa parla chiaro. Ci sono state e ci sono tuttora molte critiche agli esperti, ma questa è una lotta quotidiana corpo a corpo con un virus che muta. È la prima volta nella storia di una vaccinazione di massa a pandemia in corso in un mondo globale».