Etica e tecnologia

Maria Luisa Iavarone: I rischi di educare al tempo dei web-nativi

Giulio Bucchi

Viviamo un tempo in cui sembra diventato particolarmente complicato educare i nostri figli pervasivamente assorbiti dall’uso delle tecnologie che sta producendo in loro significativi cambiamenti in ordine alle caratteristiche socio-affettive e cognitive, emotive e motivazionali. Questa generazione, definita dai demografi sociali post-millenials, individua i nati a partire dal 2000, la cui crescita si è caratterizzata per un diffuso utilizzo di mobile technologies tipo smartphone e tablet. Pur prescindendo da qualsiasi posizionamento pregiudiziale o ideologico, l’intento non è certo quello di demonizzare le tecnologie quanto, piuttosto, di rivolgere un’attenzione responsabile al loro uso, attraverso lo sviluppo di percorsi educativi e didattici che siano capaci di migliorarne l’utilizzo in senso critico. La domanda da cui partire è certamente chi siano i post-millennials e cosa li definisca. I post-millennials sono ragazzi cresciuti in un tempo durante il quale internet ha causato profondi cambiamenti sociali e culturali che l’affermazione dei device hanno reso ancor più profondi e pervasivi, consentendo di avere “la rete in tasca” e, quindi, rendendo di fatto il web il mezzo di accesso alla conoscenza più diretto, immediato e fruibile. I post-millennials, anche se sarebbe più corretto definirli web-nativi, non hanno conosciuto un mondo senza internet che rappresenta per loro il principale mezzo di accesso alla conoscenza. Anche molti adulti hanno una modalità di accesso alla realtà “tecnologicamente-dipendente” con la differenza però che questi hanno prodotto il loro sviluppo neuronale e cognitivo in un tempo in cui la conoscenza del mondo non era mediata dalle tecnologie, mentre le nuove generazioni utilizzano prevalentemente, se non esclusivamente, questo canale. Dalle neuroscienze oggi sappiamo che le diverse aree corticali sviluppano in tempi diversi e taluni processi cognitivi (razionalità, decisioni, funzioni sociali, ecc.) giungono a piena maturazione soltanto intorno ai 25 anni e, pertanto, sulla base di tali considerazioni, possiamo ritenere che l’esposizione protratta alle tecnologie, in un epoca di sostanziale immaturità delle strutture neuronali, potrebbe avere effetti sicuramente rilevanti sulla maturazione delle stesse, allo stato non valutabili chiaramente, né nelle modalità, né nelle conseguenze a lungo termine. Un’altra caratteristica peculiare dei web-nativi è che entrano in contatto con le tecnologie in un’età precocissima, talvolta anche prima dei 10 mesi di vita, all’interno di contesti familiari ed educativi estremamente liberali e tolleranti riguardo all’uso delle stesse, sia per qualità che per quantità di fruizione. Non è infrequente riscontrare, infatti, anche in contesti di tempo libero e di svago, che dovrebbero essere tipicamente destinati allo scambio in presenza e alle relazioni interpersonali, come i genitori consentano a figli, anche molto piccoli, di utilizzare, per un tempo indeterminato, smartphone e tablet. Anche al ristorante o in vacanza, i bambini vengono lasciati intrattenersi con strumenti tecnologici, che sono di fatto preferiti a forme di intrattenimento e di svago di tipo face to face. Questi ragazzi non sembrano subire il controllo da parte dei genitori circa l’uso di questi strumenti che, invece, secondo autorevoli organismi internazionali, andrebbero debitamente dosati ed educativamente controllati. Tra questi l’American Academy of Pediatrics nelle Nuove Linee Guida del 2016 fornisce chiari indirizzi circa il tempo di esposizione dei bambini a schermi televisivi, computer, tablet e smartphone che addirittura, sotto i 18 mesi, andrebbe assolutamente interdetto e dai 2 ai 5 anni limitato massimo ad un'ora al giorno. La mancata osservazione di tali indicazioni cagionerebbe addirittura difficoltà nei processi di sviluppo ed in particolare ritardi di linguaggio, ridotte competenze nei processi di working memory, deficit nella sfera emotiva e di relazione, inadeguate abilità motorie. Nei ragazzi più grandi la maggior parte degli effetti si registrerebbe nell’area della socialità e delle relazioni. Secondo una indagine recente i 13-14enni trascorrono circa 10 ore a settimana soltanto sui social network eppure hanno ridotto del 20% la loro socialità effettiva rispetto alla generazione nata prima del 1996, dimostrando di sentirsi più a loro agio on-line che nella vita reale. In altre parole, sembra manifestarsi un paradosso: ci troviamo di fronte una generazione iper-competente sul piano dei comportamenti tecnologici che tuttavia risulta visibilmente in-competente sul piano del legame emotivo e di relazionale con gli stessi. Leggo su un blog di un adolescente: "il mio cellulare è la cassaforte minuscola dei mie segreti, contiene tutti i miei legami con il mondo. Quando il mio cellulare tace, io non appartengo allora mi metto a digitare freneticamente per non scomparire". Questa inquietante testimonianza restituisce tutta l’urgenza di entrare educativamente in un territorio in cui i ragazzi non devono essere lasciati soli, invitando soprattutto i genitori ad un atto di responsabilità maggiore, nei riguardi dei propri figli che, stando ai dati dell’Osservatorio Nazionale sull’Adolescenza del 2017, riferiscono di una “adolescenza connessa” per oltre 10 ore al giorno. I rischi, anche sul piano organico, sono molti: basti pensare che ogni notifica stimola il rilascio di Dopamina, un neurotrasmettitore che agisce nelle aree del cervello sensibili al piacere e alle ricompense con un meccanismo simile a quello delle droghe e producendo di fatto una Internet Addiction. Di tali forme di dipendenza spesso i genitori non si accorgono in quanto purtroppo sono i primi ad esserne affetti. Lo schermo retroilluminato di uno smartphone, inoltre, interferisce con il rilascio di Melatonina, un ormone regolatore del ritmo sonno-veglia e questa sarebbe la causa per cui molti adolescenti sono affetti da disturbi del sonno e conseguenti difetti di attenzione e apprendimento. E’ evidente che i genitori andrebbero maggiormente coinvolti in azioni di “parental control” anche mediante indicazioni sullo “screen time” ovvero sul tempo di esposizione agli schermi, anche stabilendo regole familiari circa la necessità di avere in casa spazi “media-free” come, ad esempio, la camere da letto o la camera da pranzo dove bandire rigorosamente l’uso del cellulare. Il rischio è che si viva sempre più in un mondo di “iperconnessi-scollegati”, che non concepiscono l’assenza di tecnologia nella loro quotidianità, segnala una tendenza irreversibile che espone a numerose minacce, quali, ad esempio, i fenomeni di sexting e cyberbulling. Tali termini, sono entrati oramai tristemente nel comune lessico delle cronache mediatiche coinvolgendo minori, spesso, ignari delle conseguenze che i propri comportamenti on-line possono determinare. Il problema, ovviamente, non sono le tecnologie, che naturalmente facilitano la nostra vita, ma l’uso che se ne fa soprattutto quando queste sono utilizzate in maniera massiva e compulsiva, inducendo il paradosso di un “isolamento-ipersocializzante”. La sommaria analisi ci riporta all’urgenza di potenziare spazi di lavoro per un più efficace “accompagnamento educativo” di questi ragazzi affinché diventino progressivamente più consapevoli della loro relazione con la conoscenza e con il mondo. di Maria Luisa Iavarone