La conquista

"una scoperta scientifica rivoluzionaria". Così è nato un essere vivo in laboratorio

Giovanni Ruggiero

Nuovo passo avanti nella creazione della vita artificiale. I ricercatori americani del team di Craig Venter e Clyde Hutchison hanno infatti progettato e sintetizzato nel loro laboratorio in California un genoma batterico minimo, contenente solo i geni necessari per la vita e composto da appena 473 geni. Un risultato descritto su Scienca, che fa avanzare la ricerca innovativa pubblicata dallo stesso team nel 2010, che all’epoca fece il giro del mondo. Nello studio si descriveva la costruzione della prima cellula batterica sintetica in grado di autoreplicarsi. Si dimostrava così che i genomi possono essere progettati al computer, assemblati chimicamente in laboratorio e trapiantati in una cellula ricevente, per produrre una nuova cellula autoreplicante controllata solo dal genoma sintetico. Dopo questa ricerca, esaltata ma anche criticata da scienziati di tutto il mondo, il team guidato da Venter e Hutchison si è concentrato sull’obiettivo finale, a cui lavoravano dal 1995: arrivare a sintetizzare una cellula minima, contenente solo i geni necessari per sostenere la vita nella sua forma più semplice. Un’impresa che potrebbe aiutare a comprendere la funzione di ogni gene essenziale in una cellula. Per fare questo lavoro, Venter, Hutchison e gli studiosi del J. Craig Venter Institute a La Jolla si sono concentrati ancora una volta sul Mycoplasma, batterio che possiede i più piccoli genomi noti fra tutte le cellule in grado di replicarsi in modo autonomo. Nel 2010 i ricercatori avevano sintetizzato il genoma del Mycoplasma mycoides. Ora, sulla base della letteratura esistente, gli scienziati del team hanno progettato degli ipotetici genomi minimi su otto differenti segmenti, ciascuno dei quali poteva essere testato per classificare accuratamente i geni essenziali per la vita e quelli che non lo sono. Durante questo processo, si è cercato anche di individuare i geni ’quasi essenzialì, quelli cioè necessari per una crescita robusta, ma non imprescindibili per assicurare la vita. In una serie di esperimenti, Venter e Hutchison hanno inserito dei trasposoni (sequenze genetiche ’stranierè) in numerosi geni, per interrompere le loro funzioni e determinare così quali fossero necessari per il funzionamento complessivo dei batteri. Poi sono tornati al genoma sintetico, ripetendo l’opera di selezione ed eliminando i geni non essenziali, in modo da ridurre le dimensioni il più possibile. L’analisi ha rivelato che alcuni geni inizialmente classificati come «non essenziali» in realtà eseguivano la stessa funzione essenziale di un secondo gene; pertanto, uno dei due doveva essere conservato nel genoma minimo. Nella versione finale - registrata come JCVI-syn3.0 - la cellula sintetica realizzata da Venter comprende 473 geni. Ed è dotata di un genoma più piccolo di quello di qualsiasi cellula, autonomamente in grado di replicarsi in natura, nota fino ad oggi. Il genoma minimo assemblato in laboratorio è privo di tutti i geni che modificano il Dna, di quelli di restrizione e della maggior parte di quelli che codificano per le lipoproteine. Al contrario, quasi tutti i geni coinvolti nella lettura ed espressione delle informazioni genetiche nel genoma, nonché nella conservazione dell’informazione genetica tra generazioni, vengono mantenuti. Ma la piccola cellula sintetica ’disegnatà dagli scienziati cela ancora dei misteri agli occhi dei suoi creatori. È interessante notare, infatti, che le precise funzioni biologiche di circa il 31% dei geni di JCVI-syn3.0 rimangono da scoprire. Tuttavia, diversi potenziali omologhi di un certo numero di questi geni sono stati trovati in altri organismi. E questo suggerisce che codifichino proteine ​​universali con funzioni ancora da determinare. La piattaforma JCVI-syn3.0 rappresenta uno strumento versatile per indagare sulle funzioni fondamentali della vita, concludono i ricercatori.