Prego?
Mahmood "miglior spacciatore di zona". La forzista fuori controllo, il siluro sul Festival
"Miglior spacciatore di zona". Su Mahmood arriva anche la "goliardata" di Elena Diacci, consigliera comunale di Scandiano e coordinatrice provinciale di Forza Italia a Reggio Emilia. Quando la politica incontra il Festival di Sanremo si rischia sempre un corto circuito, figurarsi se in balli ci sono questioni più alte come "televoto", giudizio popolare e "golpe" della giuria d'onore in odor di tendenziosità. Leggi anche: Luciana Littizzetto e Mahmood, la frase rubata dietro le quinte da Fazio E così, un po' per scherzo un po' per soffiare sulla polemica, anche la giovane forzista colpisce duro il cantante milanese figlio di un egiziano e di una sarda vincitore a sorpresa, preferito dalla giuria a Ultimo e Il Volo. La Diacci pubblica su Facebook una sua foto nel momento del trionfo e la didascalia è spiazzante: "Quando Abdul viene nominato miglior spacciatore di zona". Intervistata da Tg Reggio, la Diacci ha risposto così alle critiche che l'hanno travolta: "Ci tengo a precisare che il post da me pubblicato altro non era che goliardia. Questa è una virtù che da sempre mi appartiene. Tanto più che io mi distolgo ben da classificare le persone per il colore della pelle e tanto più per la nazionalità. Io volevo solo sottolineare la patriotticità dell'evento". "Di fatto - prosegue - è il Festival della canzone italiana. Dice tutto già il nome dell'evento. Avrebbe sicuramente dovuto ascoltare una giuria popolare, non interna, fa discutere il metodo di selezione all'interno del concorso. Io non lo etichetto come spacciatore: contesto un metodo di selezione, che non è stato democratico. Si chiama Festival della canzone italiana perché dovrebbe vedere la partecipazione e la vittoria dell’italiano stesso. Sembra di essere ritornati indietro nel tempo come quando Miss Italia nel 1996 fu vinta da una persona di fatto non italiana". Il riferimento è a Denny Mendez, la dominicana naturalizzata e incoronata la più bella d'Italia tra le polemiche. Non era ancora tempo di sovranismo, o forse lo è sempre.