LEGGE GELLI-BIANCO

Tutela del paziente neurologico“Chiarezza sulle responsabilità”

Maria Rita Montebelli

Per tutelare i pazienti serve fare chiarezza sulle responsabilità. È anche a questo che servono le linee-guida emanate dalle diverse società scientifiche. Si tratta di utili strumenti che forniscono i criteri di riconoscimento, trattamento e assistenza di diverse condizioni e che permettono di valutare correttamente la responsabilità di operatori e strutture sanitarie. Senza le linee-guida c’è il rischio che il paziente – magari trattato con successo nella fase acuta della patologia – rischi di proseguire il percorso terapeutico in strutture riabilitative che non sono in grado di rispondere ai suoi bisogni non per negligenza o imperizia, ma semplicemente perché non hanno i requisiti infrastrutturali, tecnologici e di personale richiesti dalla complessità del caso clinico. Sono queste le questioni aperte più attuali e urgenti, emerse nel corso del convegno ‘La legge Gelli: criticità nell’applicazione giurisprudenziale in neuroriabilitazione’ che si è tenuto negli scorsi giorni alla fondazione Santa Lucia di Roma, cui ha partecipato lo stesso Federico Gelli, dirigente dell’Azienda sanitaria Toscana centro e relatore della nuova norma entrata in vigore lo scorso anno. La neuroriabilitazione. Nel settore della neuroriabilitazione esiste la necessità di stabilire criteri chiari e corrispondenti alle evidenze scientifiche per quanto riguarda la possibilità per i pazienti di accedere a un percorso di cura adeguato alla loro complessità e ai potenziali di recupero che presentano. Un collegamento tra ospedali che curino gli eventi acuti e strutture di riabilitazione e neuroriabilitazione, che non sia basato su criteri rispondenti alle evidenze scientifiche è estremamente pericoloso: oltre al rischio di privare di trattamenti adeguati un paziente con gravi deficit, apre a ripercussioni sulla responsabilità delle strutture stesse e del loro personale, chiamate a prendere in carico i pazienti senza possedere caratteristiche idonee a trattarli. Il tutto nel contesto di livelli di assistenza che risultano molto disomogenei da regione a regione e alimentano non solo disparità di trattamento, ma anche costose fughe in cliniche all’estero che vanno a colpire famiglie già sovraccaricate dagli oneri sociali ed economici della presa in carico del parente con gravi disabilità. La situazione attuale. Commentando l’attuale orientamento del tavolo di lavoro indetto presso il Ministero della salute per definire i nuovi criteri di appropriatezza delle cure di riabilitazione e neuroriabilitazione erogate dal Servizio sanitario nazionale, il professor Gian Luigi Gigli, ordinario di neurologia dell’Università degli Studi di Udine, ha evidenziato che “l'idea che le gravi cerebrolesioni da trattare appropriatamente in strutture neuroriabilitative siano solo quelle in cui si sia verificata una condizione di coma, rischia di privare molti pazienti della possibilità di accedere a standard di cura qualificati. Inoltre, rischia di penalizzare le strutture che più hanno investito, in termini di professionalità, tecnologie e ricerca, per sviluppare una neuroriabilitazione di qualità”. L’aver vincolato al verificarsi di uno stato di alterazione della coscienza e alla durata del coma il riconoscimento di appropriatezza dell’erogazione di cure di neuroriabilitazione di alta specialità, è uno dei tanti vincoli introdotti negli ultimi anni da Stato e Regioni, rispetto alle linee-guida per le attività di riabilitazione emanate dal Ministero della salute nel 1998, e confermate dal ‘Piano d’indirizzo per la riabilitazione del 2011’, che stabiliscono il diritto di accesso a questa tipologia di cure, indipendentemente dal verificarsi o meno di un periodo di coma, a “pazienti affetti da esiti di grave cerebrolesione acquisita (di origine traumatica o di altra natura)”. “Ci sono pazienti che escono dal coma senza deficit tali da giustificare un ricovero di neuroriabilitazione di alta specialità – spiega Antonino Salvia, direttore sanitario del Santa Lucia – e ci sono invece pazienti che senza aver attraversato un periodo di coma possono aver subito un grave danno cerebrale con deficit fortemente invalidanti che riguardano funzioni vitali come respirazione e deglutizione, funzioni cognitive come l’uso del linguaggio, la memoria e l’attenzione e altri ostacoli gravi al ritorno alla normale vita quotidiana come gli stati depressivi. Un esempio sono le cerebrolesioni provocate da ictus, una patologia che si stima colpisca ogni anno circa 150 mila persone di cui un terzo con gravi danni cerebrali”. Non solo burocrazia. Tali lacune che vanno superate, se si vogliono raggiungere gli obiettivi della legge Gelli, scritta per garantire tutela ai pazienti e allo stesso tempo un quadro efficace di riferimento sulle responsabilità per professionisti e strutture sanitarie. “Il convegno pone l'attenzione su un tema tanto importante quanto delicato – ha affermato Gelli - è indubbio che la legge vada resa effettiva nella sua ratio profonda e non solo nei suoi aspetti tecnico-burocratici. Per questo è necessario che i decreti sull’appropriatezza e sui percorsi nella rete di riabilitazione del Ministero della salute non svuotino di significato le innovazioni introdotte a tutela dei pazienti e quindi dei professionisti della sanità dalla Legge 24 del 2017”. (MATILDE SCUDERI)