FERTILITÀ

Mamma dopo un tumore? “Oggi è molto più semplice”

Maria Rita Montebelli

Preservare la fertilità nonostante le terapie necessarie per combattere un tumore è possibile grazie a tecniche innovative e conoscenze sempre più approfondite. A parlarne gli specialisti riunitisi a Milano in occasione di evento dedicato che ha visto anche la partecipazione di Giulia Scaravelli dell’Istituto superiore di sanità e dell’Associazione italiana malati di cancro (AIMaC). “Negli ultimi anni sono stati fatti grandi passi avanti nella cura delle malattie oncologiche – spiega Giacomo Corrado, Fondazione Policlinico Universitario ‘Agostino Gemelli’ di Roma – Oggi si stima che nel mondo il tasso di sopravvivenza a 5 anni sia intorno al 65 per cento e per alcune forme tumorali (linfomi e tumore mammario) superiore all’85 per cento. Ogni anno nel nostro Paese circa 8 mila persone - 5 mila donne e 3 mila uomini – cittadini under 40, quindi in età fertile, sono colpiti da tumore, 30 ogni giorno. Di fronte a questi dati appare chiaro come l’oncologo non possa più limitarsi ad occuparsi della sola sopravvivenza del paziente ma debba farsi carico anche della sua qualità di vita, con uno sguardo attento al suo futuro e, per quelli più giovani, alla possibilità di avere figli”. È nata così una nuova disciplina medica che unisce l’oncologia e la medicina della riproduzione: l’oncofertilità. Lo specialista ginecologo, oncologo, psicologo e biologo con competenze specifiche nell’ambito dei trattamenti per l’infertilità e della procreazione medicalmente assistita, si occupa di tutti i temi legati alla fertilità e alla riproduzione in oncologia: preservazione della fertilità, ricerca di gravidanza dopo tumore e tumore in gravidanza. Tecniche di preservazione della fertilità. Le principali, nella donna affetta da neoplasia, sono costituite dall’utilizzo di farmaci per proteggere le ovaie dal danno delle terapie antitumorali, dalla crioconservazione degli ovociti e da quella del tessuto ovarico. “La vitrificazione degli ovociti – spiega Antonio Pellicer, presidente dell’Istituto valenciano di infertilità (Ivi) e ordinario di Ostetricia e Ginecologia presso l’Università di Valencia – permette di crioconservare gli ovuli maturi ottenuti dalla stimolazione ovarica per usarli successivamente, quando la paziente deciderà, con la stessa probabilità di successo presente al momento della vitrificazione. Vista l’assenza di formazione di cristalli di ghiaccio, i tassi di sopravvivenza degli ovociti sono elevati e permettono quindi di posticipare la maternità con ragionevoli garanzie. La crioconservazione della corteccia ovarica è un’altra tecnica di preservazione della fertilità attraverso la quale sono state ottenute numerose nascite a livello mondiale. Questa tecnica permette di ripristinare la funzione ovarica consentendo di ottenere gestazioni spontanee, riportando, inoltre, i livelli ormonali a valori normali, evitando gli effetti secondari tipici della menopausa precoce (osteoporosi, vampate di calore, rischio cardiovascolare). Questo tipo di procedura è sicura in tutti i tipi di tumore tranne che per le leucemie, in cui il rischio di trasferimento di cellule maligne a partire dalla corteccia ovarica preventivamente criopreservata è elevato”. Quest’ultima metodica è rivolta a pazienti oncologiche che stanno per essere sottoposte a chemioterapia o radioterapia o in qualsiasi altra circostanza che lo renda raccomandabile. Rappresenta il metodo preferenziale per bambine in età pre-puberale e alle pazienti colpite dal cancro per le quali si richiede l’inizio immediato della chemioterapia, senza possibilità di attendere il processo di stimolazione ovarica o nei casi in cui la stimolazione sia controindicata”. Pma sempre più diffuso in Italia. Secondo un censimento realizzato nell’ultimo decennio dal Registro nazionale di Pma dell’Istituto Superiore di Sanità, in Italia sono 3.519 le pazienti oncologiche che hanno voluto preservare la propria fertilità, delle quali 2.148 attraverso la crioconservazione degli ovociti (per un totale di 17.181 ovociti) e 1.371, invece, attraverso la crioconservazione di tessuto ovarico. Da oltre dieci anni l’Istituto Superiore di Sanità, attraverso il Registro nazionale della Procreazione medicalmente assistita (Pma), ha avviato iniziative di formazione in tutta Italia per promuovere una corretta informazione sui potenziali rischi delle terapie antitumorali sul sistema riproduttivo. “Il Registro – commenta Giulia Scaravelli, responsabile del Registro di procreazione medicalmente assistita dell’Iss – favorisce la conoscenza sulle diverse tecniche di preservazione della fertilità e, allo stesso tempo, incoraggia la creazione di ‘reti’, veri e propri network di professionisti oncologi, medici della riproduzione, ematologi, radiologi, pediatri, psicologi, infermieri, ostetriche, medici di medicina generale, associazioni di pazienti, e tutti i diversi caregiver che devono prendersi cura dei pazienti oncologici, garantendo loro la migliore possibile qualità di vita, una volta superata la malattia”. L’Iss si impegna, dunque, nella formazione e nella raccolta di dati su tutte le tecniche a disposizione e collabora con numerose associazioni di pazienti. Tra queste l’Associazione italiana malati di cancro (AIMaC), che da anni porta all’attenzione della stampa la tutela della fertilità, diritto troppo spesso negato alle donne e agli uomini che si ammalano di tumore. “Da sempre – conclude l’avvocato Elisabetta Iannelli, vice presidente AIMaC – il volontariato oncologico sostiene con forza il diritto alla maternità e alla paternità poiché anche solo la speranza di poter diventare genitori, nonostante una diagnosi di cancro, costituisce speranza di vita. È fondamentale affrontare il tema della preservazione della fertilità immediatamente dopo la diagnosi di tumore e prima di iniziare le terapie”. (PAOLA GREGORI)