EVERY WOMAN

Conoscere il tumore ovaricopuò davvero fare la differenza

Maria Rita Montebelli

Informazione vuol dire anche prevenzione, soprattutto se si parla di patologie - come quelle oncologiche - in cui il tempo è un fattore chiave. Capire quanto le donne conoscano un tumore aggressivo e pericoloso come quello ovarico è stato l’obiettivo dello studio ‘Every woman’ promosso dalla World ovarian cancer coalition e presentato al congresso della European society of medical oncology (Esmo) ma ad emergerne è un quadro tutt’altro che rassicurante. Dai dati forniti dalle 1531 pazienti coinvolte – provenienti da 44 Paesi diversi – si comprende infatti quanto poco si sappia di questa patologia, e quanto la scarsa conoscenza abbia posto numerosi ostacoli nel percorso diagnostico e terapeutico di queste donne e di chi si prende cura di loro. Secondo lo studio il 69,1 per cento delle pazienti intervistate non aveva mai sentito parlare della malattia prima della diagnosi e 9 donne su 10, pur avendo sperimentato i molteplici sintomi della malattia ma non conoscendoli, hanno atteso più di 6 mesi prima di rivolgersi ad un medico. Questo basso livello di conoscenza delle donne unito a una certa mancanza di consapevolezza da parte dei medici di famiglia o dei ginecologi spiega la tardività delle diagnosi e quindi delle cure. Rispetto alla media mondiale l’Italia rivela una dato di conoscenza pari al 56,5 per cento e quindi migliore. Migliori anche i tempi di diagnosi: il 62,3 per cento delle pazienti italiane ha ricevuto una diagnosi a un mese dalla prima visita contro una media mondiale pari al 43,2 per cento. La buona prova di sé che i nostri medici e le pazienti hanno dato in questa circostanza è un’ottima notizia, considerando che ogni anno nel mondo 239 mila donne ricevono una diagnosi di tumore ovarico. Di queste, quasi la metà non sopravviverà a 5 anni proprio a causa della scarsa consapevolezza di questa neoplasia, la cui incidenza mondiale è in crescita: entro il 2035 si stima un numero annuo di 371 mila nuove diagnosi pari ad un aumento del 55 per cento. Tra le priorità indicate dalle pazienti italiane vi sono lo sviluppo di un test di diagnosi precoce, la riduzione dei tempi di diagnosi e la prevenzione. Importante la segnalazione dei clinici italiani relativa alla necessità di uniformare la rimborsabilità dei test genetici in tutte le regioni. (MATILDE SCUDERI) I DATI DELLO STUDIO EVERY WOMAN   Storia familiare – Solo il 54,7 per cento delle intervistate è stata state sottoposta al test genetico Brca. Migliore la situazione italiana dove il 65,2 per cento delle pazienti ha dichiarato di essere stata sottoposta al test genetico o prima o dopo la diagnosi e il 58,7 per cento ha segnalato il rilevamento di una mutazione genetica. Inoltre le pazienti italiane hanno riferito un numero di mutazioni Brca1 tre volte più alto rispetto al dato mondiale ( 23 per cento vs. 6,4 per cento) e la più alta percentuale di altri genimutati (31,8 per cento) Accesso alle cure – La proporzione di donne che riceve il livello di assistenza specialistica richiesto da questa grave neoplasia varia ampiamente nel mondo così come variano da Paese a Paese i ritardi nell’accesso ai risultati dei test, alla sala operatoria, ai farmaci. Il 91,5 per cento delle pazienti ha dichiarato di essere stata trattata con dignità e rispetto. Il 94,2 per cento è stata sottoposta a trattamento chirurgico, il 9,6 per cento ha affrontato una secondo intervento legato a recidiva e il 9,8 per cento è stata sottoposta a chemioterapia intraperitoneale (in Italia solo il 4,5 per cento). Il 30,9 per cento delle pazienti che hanno pagato per i trattamenti ne hanno rilevato l’importante impatto finanziario Informazioni – 6 donne su 10 hanno dichiarato di essere state scioccate dalla diagnosi e il 46,9 per cento di non aver ricevuto insieme alla diagnosi le informazioni che si aspettavano. Molto migliore il risultato italiano dove le pazienti nel 62,2 per cento dei casi hanno dichiarato di aver ricevuto alla diagnosi tutte le informazioni necessarie. Il 34,7 per cento delle pazienti italiane ha dichiarato di essere riuscita a trovare tutte le informazioni di cui aveva bisogno rispetto alla media mondiale del 19,7 per cento. Circa 1/3 delle pazienti ha trovato le informazioni su Internet Aspetti psicologici – Le pazienti hanno dichiarato che la loro qualità di vita è molto influenzata dal benessere fisico e psicologico. Per il 65,9 per cento delle pazienti il supporto psicologico è stato importante al momento della diagnosi mentre per il 46,8 per cento dopo il primo ciclo di trattamenti. Solo al 28 per cento è stato offerto un supporto psicologico professionale. La maggioranza delle pazienti ha trovato questo sostegno in famiglia ( 69,5 per cento), tra gli amici ( 62,3 per cento) e da altre pazienti ( 40,3 per cento) Studi clinici – Il 64,3 per cento non ha mai parlato di trial clinici con il medico; il 23 per cento ha affrontato l’argomento su suggerimento del medico mentre il 10 per cento ha sollecitato l’argomento di propria iniziativa. In totale solo il 12,4 per cento delle intervistate è stata coinvolta in una sperimentazione clinica.