CHICAGO. SPECIALE ASCO 2018/3

Prostata: terapia ‘chemio free’efficace per un lungo periodo

Maria Rita Montebelli

L’aggiunta della terapia con abiraterone al trattamento ormonale standard si conferma efficace nel mantenere stabile la malattia, e quindi allungare la sopravvivenza, con più del 50 per cento dei pazienti  ancora in vita a 41 mesi di mediana di follow up, pazienti con una forma aggressiva di tumore della prostata, ovvero ad alto rischio metastatici già al momento della  diagnosi. Gli ultimi dati dello studio di fase 3 LATITUDE, effettuato su 1.200 uomini e presentati all’ASCO, hanno mostrato che abiraterone ha diminuito il rischio di morte del 36 per cento. “Questi dati – commenta Giuseppe Procopio, responsabile S.S. Oncologia medica genito-urinaria della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori – delineano un cambio di paradigma per il trattamento di uno dei tumori alla prostata più aggressivi. Questo per due ragioni: per gli uomini che ricevono una diagnosi di cancro della prostata in fase avanzata rappresenta un’evoluzione, un nuovo efficace approccio. Il risultato terapeutico che abbiamo osservato in questo studio, dato dall’uso precoce di abiraterone, è comparabile a quello della chemioterapia. La differenza è che abiraterone è un farmaco orale e molto ben tollerato. Buona notizia per questi pazienti, poiché significa vivere più a lungo con un ridotto impatto di effetti collaterali e una miglior qualità della vita. Seconda cosa, ma non meno importante – prosegue Procopio – non avevamo mai avuto dei dati di così lungo follow up per una terapia ormonale orale alternativa alla chemio. Tali risultati di efficacia ci aprono delle prospettive di cronicizzazione della malattia. Fino a qualche anno fa sembrava impossibile, invece oggi l’orizzonte è quello di cronicizzare una malattia come il tumore della prostata”.  Che tipo di malattia? La crescita del tumore alla prostata è alimentata dal testosterone. La terapia di deprivazione androgenica, o ADT, risulta efficace contro il tumore poiché blocca la produzione di testosterone nei testicoli. Nonostante l’ADT, le ghiandole surrenali e le cellule tumorali della prostata continuano a produrre una piccola quantità di androgeni. Abiraterone è in grado di interrompere la produzione di testosterone in tutto il corpo, bloccando l’enzima che converte gli altri ormoni in testosterone. I pazienti arruolati nello studio LATITUDE sono uomini che hanno ricevuto una diagnosi di carcinoma prostatico e in contemporanea di metastasi, si tratta quindi di diagnosi sincrona di cancro e metastasi. In generale, la malattia è avanzata per la biologia del tumore, che è aggressivo, o perché non è stata diagnosticata tempestivamente. Dai dati italiani disponibili più recenti emerge che i pazienti che mostrano metastasi fin dal momento della diagnosi si aggirano tra il 30 e il 40 per cento dei pazienti metastatici ormono-sensibili. La malattia, tuttavia, può essere a basso o alto volume a seconda della numerosità e localizzazione delle metastasi. Se la malattia, oltre ad essere ad alto volume, ha anche una biologia aggressiva (punteggio gleason elevato) diventa ad alto rischio. Gli uomini con malattia ad alto rischio già in fase di diagnosi sono i pazienti con la forma più aggressiva di malattia. A questa casistica appartengono i pazienti arruolati nello studio presentato.  Come cambia la terapia? I nuovi risultati dello studio indicano che il trattamento con abiraterone acetato con  prednisone, in combinazione con ADT, riduce il rischio di morte del 36 per cento rispetto ad ADT con placebo. Il tempo mediano di progressione del dolore è stato di 47.4 mesi con ADT + abiraterone e di 17.9 con ADT + placebo. “Inizialmente – spiega sempre Procopio – un paziente che arrivava con diagnosi sincrona di metastasi e carcinoma prostatico seguiva il percorso standard: l’ormono-terapia (ovvero il blocco androgenico totale), per poi passare alle nuove terapie (chemioterapici o nuove terapie ormonali) in caso diventasse resistente. Nel 2015, a seguito della pubblicazione di nuovi studi, nei pazienti con la forma di malattia più aggressiva lo standard è cambiato: la chemioterapia è diventata la prima linea di trattamento insieme all’ormono-terapia standard, ciò ha permesso un allungamento della sopravvivenza che prima non eravamo in grado di ottenere per questi pazienti. Fino a oggi quindi, lo standard di riferimento è stato l’ormono-terapia in combinazione con la chemioterapia come prima linea per i pazienti con malattia estesa (o ad alto volume)”.  Cosa cambia ora? “Lo studio LATITUDE – conclude Procopio – ha riguardato specificatamente una popolazione di pazienti con la forma di malattia più aggressiva, in termini di biologia, numero e sede delle metastasi. Per la prima volta è stata valutata a oltre tre anni l’efficacia di un approccio che avesse, nonostante l’aggressività della malattia di questi pazienti, non la chemioterapia come prima opzione, bensì la combinazione di abiraterone e terapia ormonale. Ovvero una terapia orale, somministrabile a domicilio, con evidenti vantaggi per il paziente in termini di qualità di vita, di impatto sulla quotidianità e non ultima di tollerabilità. In conclusione possiamo dire che il risultato apre nuovi orizzonti, non solo per l’efficacia osservata ma anche per la qualità di vita che può offrire”. Oltre ad aver raggiunto un miglioramento significativo sia in termini di sopravvivenza generale che in tempo libero da progressione della malattia e del dolore, lo studio LATITUDE ha raggiunto anche gli endpoint secondari in termini di ritardo alla progressione del PSA, allungamento del tempo all’ inizio della successiva linea di terapia per il trattamento del tumore della prostata e per l’inizio della chemioterapia, successivo evento scheletrico. (ANDREA COEN TIRELLI)