LOTTA AL FUMO
Un test del sangue per combatterela dipendenza da fumo di sigaretta
Attraverso un prelievo di sangue sarebbe possibile stabilire per ciascun individuo quali caratteristiche genetiche siano in grado di aumentare il rischio di sviluppare la dipendenza dal fumo di sigaretta, nonché l’eventuale difficoltà di smettere di fumare se pur supportati da una terapia farmacologica. Lo conferma uno studio pubblicato dai ricercatori dell’Unità di Epidemiologia genetica e farmacogenomica, della pneumologia e della chirurgia toracica della Fondazione Irccs Istituto nazionale dei tumori di Milano. I ricercatori hanno spiegato che alcuni polimorfismi genetici (variazioni del Dna specifiche per ciascun individuo) localizzati nei geni che codificano per i recettori nicotinici, risultano essere associati, aumentando così il rischio per l’individuo di contrarre la dipendenza. Tra questi polimorfismi, quello localizzato nel gene CHRNA5, è associato ad una elevata difficoltà a smettere di fumare soprattutto per quei pazienti che hanno già sperimentato trattamenti farmacologici o che hanno ricevuto supporto psicologico. Anche qualora si riesca ad uscire dalla dipendenza, è stato dimostrato che la percentuale di pazienti che riprendono il vizio del fumo è piuttosto elevata: la cura farmacologica risulta essere efficace per circa il 70 per cento dei tabagisti che si sottopongono ai trattamenti, ma solo il 47 per cento dei soggetti riesce a smettere definitivamente. “Questi risultati – afferma Francesca Colombo, ricercatrice dell’Unità di epidemiologia genetica e farmacogenomica e coordinatrice dello studio – rappresentano il primo passo verso l’individuazione di un profilo genetico individuale, sulla base del quale si potrà definire un percorso terapeutico di disassuefazione dal fumo il più personalizzato possibile”. Il gene CHRNA5 codifica per una subunità del recettore nicotinico,un membro di una superfamiglia di proteine che mediano la trasmissione dei segnali biochimici nel sistema nervoso. Polimorfismi nel gene CHRNA5 sono stati anche collegati alla suscettibilità individuale al cancro polmonare. “In questo modo si potrà sicuramente aumentare il numero di pazienti che beneficeranno delle varie terapie antifumo disponibili, diagnosticando al meglio la tipologia di fumatore che si rivolgerà a noi, così da aiutarlo concretamente nel suo tentativo di cessazione e riuscire a ridurre al contempo l’incidenza delle malattie fumo-correlate”, conclude Roberto Boffi, responsabile della pneumologia e del centro antifumo dell’istituto nazionale dei tumori. (FEDERICA BARTOLI)