MALATTIE REUMATOLOGICHE E RARE

Roma. Campagna Apmar #diamoduemanila domenica 15 ottobre a piazza di Spagna

Maria Rita Montebelli

APMAR ha avviato un’indagine mirata coinvolgendo, in questa prima fase, oltre 300 persone con malattie reumatologiche severe residenti in 6 regioni italiane (Piemonte, Lombardia, Marche, Lazio, Calabria e Sicilia). Sono stati anche intervistati i referenti politico–istituzionali sanitari delle Regioni citate e siamo riusciti ad avere uno spaccato chiaro di quello che accade in questi territori. I primi dati raccolti mettono in luce la criticità nelle condizioni di vita quotidiana di molti pazienti reumatici per i quali l’insorgenza e lo sviluppo della malattia hanno rappresentato una svolta cruciale nella loro vita quotidiana. Il 30 per cento di chi aveva un lavoro al momento dell’insorgenza della malattia lo ha dovuto abbandonare o limitare fortemente; il 65 per cento ha visto ridurre in maniera importante le proprie attività sociali e il 3 per cento dichiara di non avere più alcuna vita sociale. “Le informazioni che giungono da molte regioni sono allarmanti – sottolinea Antonella Celano, presidente APMAR – e dimostrano quanto ci sia ancora da lavorare per garantire un’assistenza omogenea alle persone con malattie reumatologiche in Italia. Rimangono ancora infatti una serie di problematicità per quanto riguarda l’accesso alle strutture (46 per cento degli intervistati calabresi); tempi di attesa (48 per cento di giudizi negativi nel Lazio e in Calabria). Chiediamo quindi che vengano costruiti percorsi di cura individualizzati in base alle esigenze di chi è colpito da queste patologie e spesso è costretto a bussare a molte porte prima di trovare il medico 'giusto' che possa accompagnarlo nel suo percorso. Sono i viaggi della speranza, che spesso portano il paziente a dover attraversare tutto lo Stivale per riuscire ad ottenere una diagnosi, sottoporsi ad una terapia infusionale o semplicemente ad una visita di controllo”. Il momento della diagnosi si rivela uno spartiacque importante anche dal punto di vista psicologico: infatti se per il 30 per cento dei casi la diagnosi è stata un sollievo perché ha dato finalmente un nome ai dolori e alle sofferenze che si provavano, nel 32 per cento dei casi ha invece portato ad uno scoraggiamento e ad una perdita di fiducia verso il futuro; infine il 23 per cento degli intervistati si è trovato in una vera e propria situazione di paura. Associato a questo dato appare particolarmente rilevante il bisogno di una assistenza psicologica, consigliato dalle strutture di cura a meno di un paziente ogni 6, ma considerato importante da un numero più che doppio di pazienti. L’indagine SWG, realizzata a settembre 2017 racconta anche delle difficoltà di accesso ai farmaci: per il 40 per cento degli intervistati i farmaci necessari non sono erogati dal sistema sanitario nazionale, il 56 per cento lamenta la confusione presente tra gli addetti ai lavori rispetto ai livelli di esenzione e il 19 per cento dichiara di non riuscire a procurarsi i farmaci previsti per le proprie terapie. “La salute è una e indivisibile come l’Italia – continua Celano - e occorre attenersi a quanto sancito dalla nostra Costituzione per garantire che tutti i cittadini, incluse le persone con malattie reumatologiche, abbiano pari accesso alle prestazioni diagnostiche e terapeutiche sia dal punto di vista qualitativo sia in termini di tempi di attesa. Sono tempi difficili per la sanità che finisce spesso per trasformarsi, soprattutto a livello regionale, in un bancomat per fare cassa, limitando l’accesso alle prestazioni sanitarie. Va completamente ribaltato il paradigma attuale che continua a ritenere la sanità un costo e non un investimento. Questa è pura miopia politica che non fa altro che moltiplicare i costi sanitari e sociali, scaricandoli sugli amministratori futuri e minacciando la salute dei pazienti. “APMAR plaude con favore alla recente sentenza (N. 04546/2017REG.PROV.COLL. N. 00706/2016 REG.RIC) del Consiglio di Stato che ha ritenuto illegittimi i provvedimenti restrittivi definiti a livello regionale nell’accesso ai farmaci, in quanto l’AIFa ha competenza esclusiva in Italia sulle funzioni relative al rilascio dell’autorizzazione, all’immissione in commercio dei farmaci, alla loro classificazione, alle relative indicazioni terapeutiche, ai criteri delle pertinenti prestazioni, alla determinazione dei prezzi, al regime di rimborsabilità e al monitoraggio del loro consumo. Tali funzioni legislative e amministrative spettano infatti solo all’autorità statale come si evince sia dalla giurisprudenza costituzionale sia da quella amministrativa. Pertanto le Regioni non possono prevedere regimi di utilizzabilità e di rimborsabilità dei farmaci contrastanti e incompatibili con i pareri emessi dall’AIFA a livello nazionale – conclude la presidente di APMAR - Le Regioni devono peraltro assolvere a compiti molto importanti e vitali sul territorio garantendo la continuità terapeutica e non imponendo con delibere ad hoc lo switch dai farmaci biologici ai biosimilari, impegnandosi a lavorare sui PDTA, Reti Hub e Spoke, e sulla attivazione dei Registri che oggi sono assolutamente insufficienti e poco diffusi”. Anche Stefano Stisi, presidente del Collegio Reumatologi Italiani (CREI) interviene nel dibattito: “Io non so che significato possano avere tutti i nostri PDTA, le linee guida, se poi con colpi di mano unicamente amministrativi e dettati dalle esigenze di spesa tutto ciò che è tecnico resta solo un atto teorico. Sempre più abbiamo bisogno di regole chiare ed uniche sull’intero territorio nazionale, dove invece sta accadendo l’opposto. Ciò che è vero in Sicilia, non accade in Piemonte, in Toscana ancora è diverso, eccetera, creando scenari a volte schizofrenici. Quasi esistessero diversi diritti alla cura della persona. È giunta l’ora di “centralizzare” diritti, tutele, accesso alle cure e modalità di erogazione delle stesse. Si sollecita il Ministero a cercare soluzioni che siano dapprima di diritto e di servizio al cittadino e che non possano essere modificate dalle singole regioni italiane Il Collegio Reumatologi Italiani è al fianco del Ministro a salvaguardia dei cittadini e del diritto dei malati al trattamento migliore”. Intanto, sul fronte della formazione, c’è da segnalare una grossa falla nel sistema, come sottolinea Giovanni Lapadula, presidente del Gruppo Italiano di Studio sulla Early Arthritis (GISEA):“Il Ministero per la terza volta ha chiesto l’accreditamento delle scuole e per la terza volta ha cambiato i parametri elevando ancor più l’asticella. Ora il 60 per cento delle scuole sono ammesse con riserva, se si considera anche che molti professori stanno andando in pensione e che il Ministero non eroga i fondi per assumere altri docenti il quadro desolante è al completo. Se si persiste in questa via diabolica, questa situazione porterà alla scomparsa di molte scuole, e di conseguenza di molte specialità mediche sul territorio, compresa quella reumatologica. Tutto questo è in forte contrasto con i principi animatori del piano per la cronicità”. “Diagnosi precoce, terapia tempestiva e misurata sul paziente con obiettivo la remissione, prevenzione della disabilità e quindi della cronicità nella invalidità, sono obiettivi raggiungibili nell’AR e in tutte le malattie croniche infiammatorie, dalle artriti, alle connettiviti, vasculiti e patologie autoinfiammatorie – afferma Mauro Galeazzi, presidente della Società Italiana di Reumatologia (SIR) – Tuttavia, per raggiungere questi obiettivi c’è bisogno di organizzazione e, in questo senso, la rete territoriale assistenziale integrata, che mette funzionalmente insieme strutture di primo, secondo e terzo livello, e i PDTA, rappresentano gli strumenti più adatti da costruire per raggiungere gli obiettivi auspicati. Ove questo tipo di organizzazione sia stato attuato – purtroppo non in tutte le Regioni – il consultivo dell’utilizzo dei farmaci biotecnologici è stato straordinario sia sul piano dei risultati clinici che su quello del risparmio economico che ha prodotto”. (FABRIZIA MASELLI)