XXXVI° CONGRESSO NAZIONALE SIME/4
Antiossidanti orali e cure antiageing“Verità tra miti ed evidenze cliniche”
Il ruolo degli antiossidanti nutrizionali nella prevenzione delle patologie croniche e dell’ageing, è un tema sempre più dibattuto e controverso. Il razionale del loro impiego si basa sulla capacità di tali sostanze di limitare o ridurre, a livello dell’organismo o di tessuti bersaglio, il danno ossidativo associato con la genesi di svariate patologie degenerative, e strettamente collegato ai fenomeni dell’invecchiamento. Non solo la ricerca scientifica non ha ancora espresso un parere univoco sull’effetto benefico degli antiossidanti, ma recentemente anche il nuovo regolamento della commissione europea ne ha ridimensionato l’importanza salutistica, ponendo dei dubbi anche sul significato intrinseco del termine ‘antiossidante’. Nello specifico l’Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA), nell’ambito del processo di valutazione delle indicazioni salutistiche sostenibili per gli alimenti e gli integratori venduti nei paesi europei, ha stabilito che è scorretto vantare per un cibo o un integratore una azione “antiossidante”. L’EFSA ha ritenuto che al posto di questa rivendicazione si debba utilizzare quella più corretta di “protegge le cellule dallo stress ossidativo”, ribadendo in tal modo che la parola “antiossidante” non rispecchia necessariamente un beneficio salutare. Inoltre per la maggior parte dei composti considerati “antiossidanti”, l’EFSA non ha riscontrato una relazione di causa effetto tra assunzione della sostanza e attività antiossidante, promuovendo come sostanze in grado di difenderci dai danni dello stress ossidativo solo alcune vitamine (vit E, vit C e riboflavina) alcuni elementi in traccia (selenio, rame e zinco) e i polifenoli dell’olio di oliva, questi ultimi relativamente alla sola protezione dall’ossidazione delle LDL (situazione direttamente collegata al danno aterosclerotico). Bocciature eccellenti hanno incluso antiossidanti storici come il coenzima Q10 e i carotenoidi quali il beta-carotene e il licopene. Il parere dell’EFSA recentemente è stato ratificato dal regolamento della Commissione Europea in vigore dal 14 dicembre 2012. A partire da quella data, quindi, numerosi integratori non possono più vantare in etichetta e in comunicazione di essere “antiossidanti”. Questa decisione, che ha sollevato notevole scalpore, riversa ulteriore confusione su di un settore già di per sé complesso e denso di zone d’ombra. Eppure da un punto di vista commerciale gli antiossidanti hanno negli ultimi anni conquistato una fetta di mercato importantissima, spostandosi spesso dai banchi delle farmacie agli scaffali della grande distribuzione. Nella coscienza del consumatore i prodotti antiossidanti, non solo in un contesto alimentare, ma anche cosmetico, sono ormai fortemente percepiti come benefici rimedi contro l’invecchiamento e le patologie cronico/degenerative. La ricerca scientifica, dal canto suo, da un lato continua a sfornare promettenti studi che sostengono un enorme potenziale terapeutico/preventivo per molte sostanze antiossidanti, dall’altro spesso non riesce a dimostrarne la reale efficacia salutistica in studi nutrizionali condotti sull’uomo. Ma allora, se non si riesce a dimostrare un significativo beneficio clinico, per quale ragioni negli ultimi anni l’interesse scientifico e commerciale verso gli antiossidanti è cresciuto moltissimo? Si tratta realmente di prodotti utili alla salute? E soprattutto che ruolo possono avere nel rallentare l’invecchiamento e proteggerci dalle malattie cronico degenerative età correlate? Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza. Innanzitutto bisogna stabilire cosa si intende per composto antiossidante, anche perché il primo inghippo risiede proprio nel significato scientifico della parola “antiossidante”, che rispecchia fondamentalmente una proprietà chimica piuttosto che biologica. Da un punto di vista chimico, il termine "antiossidante" si riferisce “qualsiasi sostanza che, presente in concentrazione molto bassa rispetto a quella di un substrato ossidabile, è in grado di ritardare o inibire significativamente l’ossidazione di quel substrato” (Halliwell & Gutteridge,1989). Questa proprietà dipende dalla capacità di un composto di donare elettroni, e in tal modo di stabilizzare molecole reattive (dell’ossigeno e dell’azoto) ed evitare così il processo ossidativo. Come spesso avviene in chimica, tale proprietà dipende dall’ambiente (temperatura, pH, concentrazione, presenza di altri composti) in cui avviene la reazione. Alcune sostanze che agiscono come antiossidanti in una determinata situazione possono trasformarsi in pro-ossidanti in un ambiente chimico differente. Già questa considerazione pone vaghezza sulla possibilità di classificare in maniera esatta gli antiossidanti. Se ci spostiamo in un contesto biologico la confusione cresce in maniera esponenziale, in quanto l’attività antiossidante di un composto in vitro non necessariamente corrisponde ad una sua efficacia in vivo. Infatti, i processi di ossido riduzione all’interno di una cellula o di un organismo rappresentano un fenomeno estremamente complesso, con diversi significati funzionali, e condizionato da elementi non necessariamente regolati da aspetti strettamente chimici. Il razionale dell’impiego degli antiossidanti in vivo si basa sulla presunta capacità di tali sostanze di limitare o ridurre i danni indotti dallo stress ossidativo. Per stress ossidativo si intende uno sbilancio tra produzione e livelli di molecole reattive ossidanti e livelli e efficienza delle difese antiossidanti, in favore dei processi ossidativi. Il corpo genera molecole reattive e radicali liberi, come inevitabili sottoprodotti del metabolismo energetico. Altri radicali liberi derivano dal cibo che mangiamo, dall'aria che si respira, dall’azione della luce solare sulla pelle. I radicali liberi non necessariamente costituiscono un pericolo per i sistemi biologici, anzi rappresentano importanti molecole di segnale e armi di difesa nei confronti di organismi patogeni. Quando però i livelli di radicali liberi diventano eccessivi, e/o le difese antiossidanti cellulari si riducono, si sviluppa un danno ossidativo a vari livelli (lipidi, proteine, DNA) che può portare a perdita di funzione, invecchiamento e morte cellulare. Per contrastare l’azione dei radicali liberi, le cellule e l’organismo hanno a disposizione una serie di meccanismi enzimatici o non-enzimatici, che costituiscono le difese antiossidanti endogene. Il glutatione, un piccolo tripeptide, nella sua forma ridotta, è ad esempio una molecola antiossidante endogena indispensabile per la difesa cellulare dai danni dello stress ossidativo. La nutrizione svolge un ruolo fondamentale nel mantenere l’efficacia delle difese enzimatiche antiossidanti. Con il cibo si assumono micronutrienti dotati di azione antiossidante intrinseca, elementi coinvolti nella struttura molecolare o nell’attività delle proteine antiossidanti, molecole in grado di stimolare la sintesi e la funzione del sistema antiossidante endogeno. Un grave errore. E’ quello che spesso si ripropone anche nell’ambito di studi osservazionali o di intervento sull’uomo: l’idea, cioè, che gli antiossidanti siano intercambiabili, o che con tale definizione si intenda molecole simili o paragonabili tra loro. Non lo sono affatto. Ogni antiossidante ha comportamenti chimici unici e proprietà biologiche peculiari. Ci sono centinaia, probabilmente migliaia, di diverse sostanze che possono agire come antiossidanti. Si tratta quindi di una classe di composti estremamente eterogenea, che include molecole assai diverse l’una dall’altra. Si va dalle vitamine idrosolubili (vitamina C) o liposolubili (vitamina E), agli elementi in tracce (selenio), da singoli aminoacidi (cisteina) piccoli peptidi (glutatione) e complesse proteine (superossidodismutasi), a derivati metabolici (bilirubina e acido urico), fino ad arrivare a composti appartenenti alla biochimica delle piante e assunti con la dieta, come i carotenoidi o i polifenoli. I polifenoli comprendono un ampio gruppo (diverse migliai di composti) di metaboliti secondari delle piante, che include i flavonoidi, gli isoflavoni, gli acidi fenolici, le proantocianidine, i tannini e i lignani. Nell’uomo, frutta e verdura rappresentano la principale fonte alimentare di questi composti. Sebbene siano dei non nutrienti, cioè non servono a fare energia o strutture, una volta assimilati con il cibo i polifenoli sono in grado di interagire con la nostra biochimica, attivando e regolando numerosi aspetti funzionali. Tra le sostanze maggiormente studiate vi sono le antocianine e le procianidine del mirtillo, come la delfinidina, le catechine del tè, come l’epigallo-catechin-3-gallato, uno stilbene contenuto nell’uva e nelle arachidi, il resveratrolo, il pigmento giallo che dà il colore al curry derivato dal tumerico, la curcumina. A livello scientifico, sono note da anni le proprietà antinfiammatorie e antiossidanti di tali composti. Queste sostanze sono in grado di stimolare i sistemi di riparazione cellulare, di amplificare le difese antiossidanti endogene, di inibire in maniera specifica l’azione delle molecole infiammatorie. L’innesco di tale risposta difensiva è legata alla specifica capacità di alcuni polifenoli di modularespecifici meccanismi di segnale e fattori di trascrizione. Tra le azioni più rilevanti vi è quella di attivare un fattore di trascrizione fondamentale per la sopravvivenza cellulare allo stress, l’Nrf2, e parallelamente inibire l’Nfk-B, un segnale fondamentale nell’innescare i processi infiammatori e di morte programmata. L’Nrf2, è di per se in grado di aumentare in maniera specifica una pletora di segnali di sopravvivenza, difesa antiossidante e rigenerazione cellulare, ed è sempre più visto come una molecola chiave per la terapia e la prevenzione di numerosi disturbi cronici età-correlati, dalle malattie cardiovascolari, alle neurodegenerative e al fotoinvecchiamento cutaneo. Il nostro gruppo di ricerca negli ultimi anni, ha sviluppato numrose ricerche per verificare la possibilità che composti polifenolici di diversa derivazione vegetale, attraverso la modulazione di Nrf2, sortiscano effetti protettivi, agendo come induttori della capacità di difesa antiossidante cellulare, e possano essere utilizzati per la realizzazione di strategie nutraceutiche/nutrizionali, mirate alla prevenzione dell’invecchiamento patologico.