INCONTRI SCIENTIFICI
Screening neonatale allargato in Italia entro la fine dell’anno?
Lo screening neonatale, obbligatorio al momento in Italia solo per tre malattie (fibrosi cistica, fenilchetonuria e ipotiroidismo congenito), potrebbe entro la fine dell’anno essere allargato ad almeno 40 patologiche metaboliche. Questo consentirà di prevenire morti premature e disabilità gravissime, derivanti da una serie di patologie che, se intercettate tempestivamente, possono essere corrette o limitate nei danni da terapie specifiche e diete adeguate. Tutto dipenderà dall’approvazione o meno del disegno di legge 998/13 (primo firmatario la senatrice Paola Taverna) e l’aggancio con i LEA sarà determinante, anche se la copertura finanziaria è già stata garantita (stanziati finora 10 milioni). “Le malattie metaboliche ereditarie e altre malattie congenite di origine genetica – recita il disegno di legge - si manifestano prevalentemente nei bambini nei primi anni di vita ma possono esordire anche in età giovanile o adulta; sono gravi e progressivamente invalidanti e, se non riconosciute in tempo utile -poiché tali neonati alla nascita si presentano apparentemente sani - provocano spesso gravi handicap fisici e mentali permanenti o morte precoce. Tali danni e morti potrebbero in buona parte essere evitati attraverso una pratica diffusa di screening neonatale, un esame non invasivo effettuabile subito dopo la nascita e che permette di identificare un ampio gruppo di malattie prima che queste si manifestino clinicamente”. Ma nonostante l’esistenza di ben 32 centri di screening sul territorio nazionale (decisamente troppi), l’Italia è pronta ad affrontare questa prova? “Bisognerà vedere - afferma Bruno Dalla Piccola, Direttore Scientifico del Bambino Gesù - quante strutture saranno dedicate a questo screening, come funzionano e quanto queste strutture sono agganciate con i centri di screening. L’attuale disomogeneità presente sul territorio italiano è legata al fatto che, nel campo delle malattie rare, ogni regione si muove in maniera autonoma, praticamente in venti maniere diverse. Se non ci sarà un organismo centrale a coordinare, non sarà possibile gestire il problema delle malattie rare su base regionalizzata”. Un altro problema è rappresentato dalla grande disomogeneità che è possibile rilevare da regione a regione. La fibrosi cistica – ricorda il dottor Carlo Dionisi Vici, presidente della Società Italiana Per lo Studio delle Malattie Metaboliche Ereditarie e lo Screening Neonatale, Responsabile unità operativa di patologia metabolica dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma - che per legge è obbligatoria non ha la copertura nazionale completa, perché ci sono regioni che non fanno lo screening (Abruzzo, Basilicata, Puglia, Sardegna). Ma mentre c’è chi resta indietro, a fine 2013 ben il 30% dei neonati italiani è stato sottoposto allo screening esteso su una ventina di malattie”. Lo screening neonatale. Consiste nell’esaminare alla nascita i bambini alla nascita per una serie di malattie metaboliche, per le quali esiste un trattamento. “Negli USA questo screening - spiega il professor Nicola Longo, divisione di genetica medica, Dipartimento di pediatria e patologia e ARUP Laboratories, University of Utah (Usa) – viene effettuato in maniera omogenea in tutti gli Stati e i bambini vengono screenati per circa 60 malattie. La più frequente è l’ipotiroidismo congenito, patologia che riconosce cause diverse; seguono le malattie metaboliche in aggregato, la fibrosi cistica, le emoglobinopatie (malattia a cellule falciformi negli USA, talassemia in Italia). La prevalenza complessiva di tutte le patologie che possono essere screenate alla nascita è dello 0,5% circa. Con l’avvento della spettrometria di massa tandem, che consente di misurare aminoacidi e acilcarnitine, all’inzio del nuovo secolo è stato possibile estendere lo screening neonatale a più di 30 malattie metaboliche, come le aminoacidopatie, le acidemie organiche e i disturbi dell’ossidazione degli acidi grassi. L’individuazione precoce e il trattamento di pazienti affetti da tirosinemia di tipo 1 – afferma Longo – può aiutare a prevenire le malattie epatiche, il cancro e la necessità di ricorrere ad un trapianto di fegato in questi pazienti. Per quanto riguarda il deficit di carnitina primaria, lo screening neonatale è in grado di individuare i neonati e le madri affetti, consentendo di approntare rapidamente la terapia”. Lo screening neonatale allargato costa negli USA circa 60 dollari e in Italia 50 euro. Tra 24 e 72 ore dalla nascita, si preleva al bambino qualche goccia di sangue dal tallone e si mette su carta bibula; dopo aver fatto seccare le gocce di sangue, si invia questo cartoncino per posta o per corriere al laboratorio dove viene fatto lo screening. Se emerge qualche positività, il bambino accede ad altri test di conferma, presso laboratori diagnostici specializzati. In Italia lo screening allargato verrà effettuato su una quarantina di malattie (cosiddette ‘core panel’), ma oltre a queste ce ne sono un’altra ventina, che possono essere vengono identificate come ‘secondary target’, quindi alla fine se ne studiano circa 60. Nel nostro Paese si stima che ogni anno nascano circa 200 bambini con una malattia metabolica (la prevalenza è di 1:2.500 nati e ogni anno ci sono circa mezzo milione di neonati in Italia). Un censimento fatto nel 2002 nel nostro Paese aveva raccolto circa 2.000 casi di malattie metaboliche in età pediatrica. Una forma curabile di autismo. Si chiama malattia da deficit di GAMT (guanidino-acetato metil-transferasi), ed è una malattia metabolica rara, presente in tutto il mondo, che determina un deficit di creatina cerebrale. Di recente, è stato messo a punto un test di screening neonatale che consentirà ai bambini nati con questa condizione di poter essere efficacemente curati, con una terapia di supplementazione e di tipo dietetico. Intervenire entro il primo anno di vita in questo modo, proteggere il bambino dalle conseguenze di questa malattia che sono ritardo mentale, convulsioni e tratti autistici. La malattia da deficit di GAMT è di fatto una delle pochissime forme di autismo curabile. “Nello Utah, come altrove – spiega il professor Nicola Longo - la prevalenza di questa condizione è di 1:100.000. La malattia viene diagnosticata con un apposito test biochimici (dosaggio della creatina e del guanidino acetato) e con la RMN a spettroscopia del cervello, un esame che consente di misurare la concentrazione di una serie di sostanze chimiche all’interno del cervello”. Il test biochimico per lo screening neonatale del deficit di GAMT è stato messo a punto dalla professoressa Marzia Pasquali, Direttore del laboratorio di screening neonatale per le malattie metaboliche della University of Utah (USA). Dal punto di vista tecnico, il test è molto semplice e dà pochissimi falsi positivi. Normalmente la diagnosi di questa malattia viene posta ad un anno, quando il genitore si accorge che il bambino non comincia a camminare o a parlare, ma a quell’epoca è già tardi per poter trattare questa malattia in maniera efficace; al contrario, una diagnosi precoce consente di intervenire prima che il danno si consolidi. La terapia fatta ad un anno di età può prevenire le convulsioni ma non riesce a normalizzare lo sviluppo cerebrale. (PIERLUIGI MONTEBELLI)