DISPOSITIVI MEDICI IN ITALIA
Medtech, eccellenza tecnologica nell’industria italiana della salute
Il ‘Made in Italy’ come sinonimo di qualità garantita dalla progettazione alla produzione è di solito accostato ad ambiti quali il lusso, il design, il cibo. Esiste però nell’opinione pubblica anche una percezione di Made in Italy accostato alla tecnologia e alla ricerca, specie biomedicale. Il sistema di ricerca, sviluppo, produzione e commercializzazione nell’industria della salute in Italia impegna 175.000 persone e racchiude in sé significative potenzialità per lo sviluppo economico del paese. Il settore della salute in Italia è uno dei pochi specializzati in alta tecnologia e realizza un fatturato annuo di 43 miliardi di Euro, pari al 4,2% dell’intero settore manifatturiero, con buoni livelli di competitività e alta qualità dell’occupazione. Tra il 2008 e il 2012, nonostante la crisi economica, le esportazioni sono salute del 36,5%, contro una media del 6,5% del settore manifatturiero. Oggi le esportazioni annuali ammontano a 23 miliardi di Euro, il 6% del totale dell’export italiano. Anche l’innovazione è annoverata tra i fiori all’occhiello del settore: le aziende del settore salute possiedono il 21% dell’attività brevettuale e il 14,2% della ricerca e sviluppo di tutta l’industria italiana. (Ricerca Intesa San Paolo e IMT Alti Studi di Lucca per Aspen Institute, 2013). Sono solo alcuni dei dati illustrati a Roma nei giorni scorsi in un meeting della Sorin in occasione della presentazione del ’Rapporto 2014 di Assobiomedica - Produzione, Ricerca e Innovazione del settore dei dispositivi medici in Italia’ che restituisce lo spaccato di un settore ad alta intensità tecnologica e di innovazione. Altra caratteristica distintiva è la concentrazione geografica e la correlata tendenza a sviluppare specializzazioni territoriali. Il tessuto industriale è molto ricco e si compone di imprese di grandi e medie dimensioni, ma soprattutto di micro e piccole imprese e start-up innovative. Le imprese di produzione in particolare sono numerose. Molte svolgono attività prevalentemente per conto terzi, ma tale attività è diffusa anche tra i produttori diretti: questa articolazione delle relazioni industriali configura quello dei dispositivi medici come un settore a “fabbrica diffusa”. Le imprese. Relativamente all’anno 2012, l’osservatorio PRI ha censito 3.025 imprese che operano nel settore, di cui il 56% si occupa di distribuzione, il 40% di produzione e il 4% di servizi. Le imprese multinazionali sono il 16%, ma il loro fatturato rappresenta il 61% del totale. Parallelamente, le imprese a capitale estero sono l’11%, ma il loro fatturato rappresenta il 48% del totale. Il 73% delle imprese si concentra in 6 regioni cui è riconducibile l’88% del fatturato totale: si tratta di Lombardia, Emilia-Romagna, Lazio, Veneto, Toscana e Piemonte. Le imprese che commercializzano dispositivi medici finiti sono 1.675: il 14% ha struttura multinazionale e il 12% è a capitale estero. Un’importante specializzazione territoriale è rappresentata dal mercato dell’infusione, trasfusione, drenaggio e dialisi nella provincia di Modena, che con il distretto di Mirandola rappresenta la realtà produttiva d’eccellenza del settore. Al secondo posto per rilevanza la provincia di Vercelli, specializzata nei mercati della diagnostica in vitro. Molti mercati sono particolarmente concentrati nella provincia di Milano, che si caratterizza per l’eterogeneità delle concentrazioni che vi si trovano più che per una specializzazione in particolare. Le start-up. Il censimento – aggiornato al mese di giugno 2014 – ha rilevato 255 start-up con attività di interesse per il settore dei dispositivi medici. Il 61% delle start-up censite è concentrato in quattro regioni: Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana e Piemonte. Il 55% ha origine come spin-off della ricerca pubblica; poco più del 36% risulta essere incubato. Il 24% delle start-up opera nel campo della diagnostica avanzata, tra le KET (key enabling technologies) più rappresentate dalle start-up del settore, si trovano le biotecnologie (19%) e l’ICT (18%), tecnologie trasversali che permettono lo sviluppo di prodotti che trovano applicazioni in comparti differenti. Attività di brevettazione e flussi commerciali. L’analisi dei dati relativi all’attività di brevettazione e ai flussi di commercio mette in luce interessanti sviluppi del settore a livello mondiale. L’innovazione tecnologica nel settore si mantiene elevata e prevalentemente concentrata nei paesi avanzati cui, tuttavia, si associa una continua crescita del ruolo dei nuovi mercati, non solo come importatori, ma anche come esportatori. La Cina e le economie emergenti del PAC, ossia dell’Asia orientale e sud-orientale, rappresentano i player più dinamici grazie anche all’intensa attività di delocalizzazione produttiva. Nel ranking mondiale l’Italia è il dodicesimo brevettatore, il quattordicesimo esportatore e l’undicesimo importatore (2012). L’Italia mostra una certa specializzazione nelle attrezzature tecniche, dove sia la quota di mercato sia la quota di brevetti risultano essere superiori alla media. Inoltre, la crescita dell’attività di brevettazione nel biomedicale svela interessanti prospettive per questa classe di prodotti. Nel 2013 le esportazioni di dispositivi medici sono cresciute del 2,8%, a differenza di quelle della manifattura nel complesso che sono rimaste sostanzialmente invariate. Pur continuando ad avere una performance commerciale migliore con i partner extra europei, rispetto all’anno precedente i flussi d’esportazione verso l’Europa hanno ripreso a crescere, segnando una significativa inversione di rotta.I mercati di sbocco delle esportazioni italiane appaiono fortemente diversificati; sotto questo aspetto l’Italia risulta meno esposta ai rischi di natura geopolitica soggetti a mutamenti anche repentini. Un esempio virtuoso, Sorin group nel vercellese. Lo studio The economic impact of a medical device company’s location in Italy pubblicato nel 2013 dal Journal of Medical Marketing, CERGAS Bocconi, Dipartimento di Analisi delle Politiche e Management Pubblico ha quantificato l’impatto sull’economia regionale e nazionale legato all’insediamento della produzione di valvole cardiache Sorin Group in Italia. Circa il 76% della forza lavoro dell’impresa presa in considerazione vive in un raggio di 30 km dall’impianto, il 17% ha un livello di istruzione universitario e il 68% è costituito da donne. La componente di genere riflette la speciale natura dell’attività manifatturiera nel settore delle valvole prostetiche, che richiede la cucitura, e si differenzia fortemente rispetto a quella delle altre attività manifatturiere della regione, dove la componente femminile scende al 22%. Considerando tutti i settori dell’economia regionale, e non solo quello manifatturiero, si sale al 43%, ben al di sotto dei valori dell’impresa analizzata. Se si analizza la composizione di genere nelle diverse posizioni gerarchiche, si rilevano percentuali più alte della presenza femminile rispetto alle medie regionali del settore manifatturiero sia per posizioni executive sia manageriali. A conferma di ciò, un recente studio indipendente su 1.076 aziende italiane con almeno 100 dipendenti nella stessa regione dell’azienda biomedicale colloca l’azienda analizzata nelle prime tre posizioni quanto a forza della componente femminile. Sulla base dei più recenti dati ISTAT pubblicati nel 2011 sull’economia italiana a livello provinciale, si è stimato, per il periodo 2009-2010, un contributo al PIL della provincia in cui è ubicato l’impianto pari allo 0,82%. Questo risultato è stato conseguito principalmente grazie all’impiego di forza lavoro localizzata nello stesso comune in cui ha sede l’impianto, che rappresenta complessivamente circa il 6% del reddito della forza lavoro locale. Inoltre, si è stimato che, per ogni 100 euro di fatturato generato dalla vendita di valvole cardiache prostetiche prodotte in Italia, si generi un fatturato di 30 euro legato a forniture alla stessa azienda. La stima è sicuramente calcolata per difetto dal momento che non comprende alcuna attività economica indiretta generata dall’azienda al di fuori degli acquisti di forniture e dall’impiego di lavoro associato a queste da parte dei fornitori. Grazie agli effetti diretti, indiretti e moltiplicativi descritti, il valore aggiunto da un impianto produttivo localizzato in Italia ha un effetto mitigante sui costi sostenuti dai contribuenti per l’utilizzo di questi prodotti. Infatti, a parità di prezzo di acquisto (e di qualità del prodotto), il costo netto per l’acquirente pubblico di dispositivi medicali prodotti localmente rispetto a quelli prodotti in altri paesi, è inferiore. Questo vuol dire che per ogni euro di fatturato generato dalla vendita di valvole cardiache prostetiche prodotte in Italia, il ritorno economico per lo Stato è di 9 centesimi di euro. (GIOIA TAGLIENTE)