Sci
Gustav Thoeni: "Vi racconto lo slalom che ha cambiato il Paese"
Alle prime ore della mattina Gustav Thoeni è già sveglio: da buon uomo di montagna si sveglia con le galline e va a letto all’ora del Carosello. Le presentazioni sono facili: trattasi di uno dei più grandi campioni mondiali nella storia dello sci con quattro vittorie nella Coppa del Mondo generale (1971, 1972, 1973 e 1975), un secondo posto conquistato nel 1974, cinque Coppe del Mondo di specialità, oltre a un oro nello slalom gigante e un argento nello slalom speciale agli XI Giochi olimpici invernali in Giappone nel 1972 e a due ori (slalom gigante e slalom speciale) ai Mondiali nel 1974. Sciava leggero come una farfalla. Oggi a 63 anni gestisce un albergo a Trafoi, dove è nato, e scia in mezzo a un mare di nipotini. Thoeni vs Tomba, due giganti: chi il più grande? Vota il sondaggio di Liberoquotidiano.it Signor Gustav, quando ha iniziato a sciare esattamente? «A tre anni. Mio padre era maestro di sci ed anche mia madre aveva una tradizione famigliare. A Trafoi non si poteva fare altro». L’hanno sempre chiamato il «Re silenzioso». Si considera un timido? «Direi riservato. È sempre stato il mio marchio». Anche i suoi rapporti con Ingmar Stenmark erano all’insegna del riserbo? «Io parlavo poco, e lui anche meno. Scherzi a parte, i nostri rapporti sono rimasti buoni anche se ormai non lo sento da tanto. So che si è trasferito in Svezia e non gira neanche più». Il parallelo del 1975 a Ortisei, il 23 marzo, è rimasto nella storia dello sci e di voi due. «Era la prima gara che si disputava in quel modo. Eravamo tutti e tre a pari punti: c’era anche Franz Klammer, anche se lui volava nelle discese». A febbraio uscirà un libro dedicato a quell’avventura, anzi a voi due ed alla Coppa del Mondo di quegli anni. Si intitolerà L’ultima porta di Lorenzo Fabiano (Ed. Mare Verticale). Il re di quel parallelo fu lei. «Beh, Stenmark dopo quell’anno vinse tutto. Comunque fu una grande emozione. A Ortisei c’erano 40.000 persone. Credo che l’Italia si sia fermata per un attimo». Dopo quella gara in Italia tutti cominciarono ad andare a sciare in massa. «C’erano anche più soldi. Era forse il primo momento della ripresa economica». Lei addirittura sperimentò un tipo di sciata particolare, il passo a spinta. Perché non l’ha mai brevettato? «Quando sarebbe stato il momento, era già passato di moda». Un altro momento cruciale della sua carriera è stata la discesa a Kitzbuhel nel ’75, dove arrivò secondo per tre millesimi di secondo, dietro Klammer e sulla mitica Streif. Si ricorda cosa ha pensato in quel momento? «A dire la verità fu un centesimo di secondo. Ero contento, anche perché ero partito cercando di piazzarmi nei primi dieci. L’obiettivo era quello». Hanno girato anche un film su quella gara. «Sì, Per un centesimo di secondo». In quel film ha recitato se stesso, dev’essere stato difficile per uno silenzioso come lei? «È stato divertente. Ho scherzato molto in quel film, mi facevo un po’ il verso. È stato interessante perché ho potuto vedere cosa si nasconde dietro la preparazione di un film che dura circa un’ora e mezza. Le riprese sono andate avanti per tutto l’inverno». Lei comunque faceva anche pubblicità in televisione. Tutto sommato era uno abituato allo schermo. Ci si ricorda dell’Ovomaltina. «Ai miei tempi noi atleti non potevamo avere contratti con gli sponsor. Eravamo e dovevamo restare dilettanti. Alle Olimpiadi di Sarayevo nel 1984 mi ricordo che Marc Girardelli non potè correre proprio perché aveva stipulato un contratto B, ossia aveva preso una licenza per la pubblicità. Fu proprio dopo quel fatto che il Circo Bianco cambiò ed iniziarono le pubblicità. Praticamente dopo il mio ritiro». Secondo lei fu più un male o un bene? «Per le tasche degli atleti fu un miglioramento notevole ma sotto l’aspetto sportivo è stato un danno». È vero che il suo trampolino di lancio fu il Trofeo Topolino ideato tra gli altri dal grande Rolly Marchi. «È vero. Rolly grazie alla sua statura ed il suo cappello da cowboy era già un personaggio. Scherzava sempre ma aveva un occhio da rapace per individuare gli atleti in erba che si sarebbero trasformati in campioni. Li vedeva già a sei /sette anni. Non so come facesse. Il mio Trofeo Topolino è stato quello del 1964». Anche un certo Mike Bongiorno aveva una grande simpatia per lei. «Mike Bongiorno lo ricordo al Sestriere. Era venuto a vedere i nostri allenamenti. Sciai insieme a lui. Per quel poco che siamo stati insieme ne ricordo la cordialità. Aveva sempre il sorriso». Lei ha sempre avuto buoni rapporti con la stampa. Qualche giornalista le ha mai fatto un dispetto? «Direi di no. Anzi, i giornalisti mi portavano fortuna. Quando scrivevano che ero finito, vincevo. Andava bene così». Lo dicevano anche di Tomba. «Scrivevano che non sia allenava mai». Con lei ha vinto praticamente tutto, però. Discese libere a parte. Marc Girardelli per esempio era più completo perché faceva anche le libere. «Sì, ha vinto molto. Per le libere è stata una questione di scelte. Nelle altre discipline vinceva eccome». Una definizione secca per Alberto Tomba. «Magari ne arrivasse un altro così». La nostra Valanga Azzurra di oggi? «Una buona squadra. Abbiamo buoni gigantisti ma anche tanti infortuni». Lindsay Vonn e Tina Mazel. Chi è la più forte delle due? «Sono forti entrambe». I materiali sono cambiati in modo enorme da quando lei sciava. Era meglio sciare ai suoi tempi con gli sci da oltre 2.00 metri? «Sciare oggi è diventato più facile. In Coppa del Mondo i materiali fanno molto, ma vince sempre e soltanto il più bravo, o quello che va più veloce. Lì la regola è rimasta quella». Che libro ha sul comodino ? «Non leggo». La televisione la guarda? «Guardo i documentari e lo sport. Non ho Sky». Il suo rapporto con il cellulare? «Lo uso soltanto per telefonare». Il suo piatto preferito? «I canederli o un bell’arrosto. Ma resto un grande estimatore della pasta». Il suo ricordo più doloroso? «L’incidente d’auto in Nuova Zelanda nel 1982 dove morirono tre miei compagni di squadra». Il vino preferito di Thoeni? «Il Lagrein. Lo usiamo in albergo come vino della casa». Le manca lo sci? Ha progetti per il futuro? «No, ormai sono fuori dai giochi. Ho scoperto che si può vivere bene anche senza». Che regalo avrebbe voluto trovare sotto l’albero quest’anno? «Un po’ di neve». intervista di Alberto Pezzini