Giallo
Pantani, mistero milanese prima della morte: 4 giorni di buco, le spese e quella chiamata...
Nel giallo che avvolge la morte di Marco Pantani, molte ombre si allungano anche sui giorni precedenti il suo arrivo a Rimini, il 9 febbraio 2004, poco dopo le 13. In quello che chiameremo «periodo milanese», infatti, alcuni particolari non sono mai stati chiariti e neppure approfonditi né dall’indagine né al processo, ma c’è il sospetto che alcune incongruenze, «buchi» e curiosità possano essere collegate alla tragica fine del Pirata. Manuela Ronchi, la manager del ciclista, racconta che il 15 gennaio il marito Paolo Tomola va a prendere Marco reduce da un periodo piuttosto complicato a causa della cocaina e lo porta a casa loro. La settimana successiva fila via tranquilla, Marco e Paolo decidono di andare a sciare e Pantani, il 26, usa l’auto di Tomola per recarsi a Cesenatico a prendere i suoi indumenti da sci, quei famosi tre giacconi descritti da mamma Tonina che verranno poi misteriosamente trovati nella stanza del residence Le Rose in perfetto ordine vicino al cadavere. Marco prende quelli e poco altro, una valigia leggera che Tonina ricorda bene perché fatta proprio da lei: «Le altre cose le noleggio in montagna», la serena risposta di Marco alle obiezioni della madre. Ma, stando al racconto della Ronchi, Pantani al rientro a Milano porta con sé anche della cocaina, che lei e il marito scoprono e costringono a buttare nel water. Il Pirata - secondo le testimonianze - a questo punto inizia a diventare sempre più agitato, il colloquio del 30 gennaio con il professor Ravera, che gli consiglia di entrare in clinica a disintossicarsi, si risolve con il «no» di Marco e diventa il pretesto per nuove discussioni. Il 31 sera, a casa della Ronchi arrivano anche mamma Tonina e papà Paolo e l’incontro si trasforma presto in lite: Marco fugge all’Hotel Jolly Touring lasciando a casa della manager «i bagagli ed il telefono cellulare». La versione ufficiale dice che dal 31 gennaio il Pirata è isolato in quell’hotel di Piazza della Repubblica, dal quale partirà poi per l’ultimo viaggio per Rimini solo il 9 febbraio. Isolato e senza telefonino, dunque, tanto che l’1 febbraio contatta la Ronchi dal telefono dell’albergo lasciandole un messaggio in segreteria. Da quel momento Pantani sparisce e nessuno riferisce di averlo visto né sentito fino al 6 febbraio, quando il dottor Greco, lo psichiatra che lo aveva in cura, contatta la Ronchi: Pantani ha chiamato e ha chiesto di parlare solo con lei. Una cosa molto strana risulta però dalla ricevuta del pagamento della stanza, occupata in un momento senza particolari eventi in città (la settimana della moda ci sarebbe stata solo venti giorni più tardi). Per i primi due giorni Pantani paga 132 euro, i secondi quattro giorni (quei giorni di buco in cui nessuno parla ufficialmente con lui) addirittura 180 euro, gli ultimi tre di nuovo 132. Perché? La tariffa sale forse perché c’era qualcun altro con lui in quella camera? Eppure avrebbe dovuto essere solo. Dunque siamo al 6 febbraio. Manuela chiama in hotel, gli ribadisce di volerlo aiutare, ma Pantani le chiede di portargli le medicine e di prenotargli un treno per Cesenatico (da qui sembra che Marco avrebbe voluto poi raggiungere Saturnia, meta dove si recava abitualmente). La Ronchi rifiuta di prendergli il biglietto ferroviario ma il giorno dopo, il 7, insieme al marito compra i farmaci che vengono portati in reception e fatti avere a Marco (senza incontrarlo) «insieme a una sportina», un sacchetto di plastica grigia di quelli comuni da supermercato: dentro magliette, schiuma da barba e la lettera manoscritta della manager, tutto ritrovato poi nell’hotel di Rimini. E arriviamo all’8 febbraio, data nella quale accade qualcosa di strano. Sappiamo che Marco aveva a disposizione tre sim card telefoniche e proprio l’8, alle 22.20, da una di queste sim parte una chiamata (certificata dalla Polizia) per il telefono della mamma (numero in possesso di Tonina da molti anni e ancora attivo), che però risulta staccato. Chi ha fatto la chiamata? Pantani? Ma come, se il suo telefonino era rimasto a casa della Ronchi (e difatti in quei giorni chiamava sempre dall’hotel)? Allora si è fatto prestare il telefono da qualcuno dove ha inserito la sua sim? Ma non doveva essere da solo? Forse poteva essere uscito a comprarne un altro? E allora perché nessuno lo ha visto e, soprattutto, perché poi Marco non ha portato il cellulare con sé a Rimini insieme alle altre cose? O magari c’era ed è sparito? Al processo questo fatto non è stato considerato, ma potrebbe essere un aspetto decisivo. E le tre sim, non sono mai state rinvenute o repertate: eppure nell’hotel Le Rose sono state trovate perfino le chiavi di casa e della macchina di Pantani. di Tommaso Lorenzini