In Abruzzo le new town

Albina Perri

Berlusconi lo ha promesso: vicino a L'Aquila sorgerà una città satellite, una "new town", per dare casa ai senzatetto. Ma che cosa sono le new town? Le new town, dette anche "città giardino", sono sorte in Inghilterra a partire dal 1947 per controllare la crescita preoccupante di Londra. Quelle inglesi sono provviste di tutti i servizi, dai cinema alle scuole. Ci vive attualmente circa un milione di persone. Seguono generalmente lo stesso schema urbanistico: al centro si trova un'area amministrativa-commerciale, circondata interamente da quartieri residenziali, separati da parchi e piccole aree agricole caratterizzati da colorate villette a schiera con il tradizionale giardino. Un po' quello che proprio Berlusconi ha creato negli anni Settanta con Milano 2 e Milano 3. Ma l'idea della città bis, vicina al centro storico, ricostruita dal principio con criteri antisismici non piace a tutti. Soprattutto agli archietti e ai designer. Massimiliano Fuksas, per esempio, non usa mezzi termini: «All'estero ci sono state diverse esperienze di questo genere in passato. Oggi nessuno pensa più alle new town: sono state un fallimento». Architetto e urbanista di fama internazionale, per vari anni membro delle commissioni urbanistiche di Berlino e di Salisburgo, Fuksas ha curato, tra l'altro, la ristrutturazione del fronte Senna a Clichy, Parigi, e attualmente è impegnato nella realizzazione del nuovo centro congressi «Nuvola» di Roma. «Le prime esperienze di questo tipo - spiega Fuksas - furono fatte negli Usa. L'Inghilterra ne ha programmate alcune dopo la guerra. I francesi negli anni '70 hanno provato a realizzarne nella cintura urbana. Oggi nessuno ci pensa più, perchè non hanno dato risultati positivi». Dovunque sono state realizzate, le new town «sono state un fallimento», sottolinea, perchè hanno prodotto aggregati urbani che «non sono sono né città, né campagna. Nel realizzarle, si è tentato di riprodurre la città, ma l'effetto città è mancato. Anche dal punto di vista sociale». Ma un'opportunità, soprattutto per i giovani, le new town potrebbero rappresentarla. A condizione che si rispetti il territorio. Ne è convinta Vera Slepoj, che presiede la Federazione italiana psicologi e psicoterapeuti. La psicologa premette che «l'individuo ha radici indissolubili con il luogo d'origine». Ma in una situazione drammatica, come quella dell'Abruzzo oggi, «realizzare delle città ideali è una possibilità di cambiamento dentro la distruzione. Positiva soprattutto per i giovani. Più ardua per adulti e anziani, perchè può produrre sradicamento, perdita di identità ». Secondo Slepoj, non bisogna perdere di vista un aspetto: «Creare occasioni nuove dentro il lutto potrebbe essere un segnale importante da parte delle istituzioni. Certi territori ne hanno anche necessità. Il sud ha sempre avuto problemi a rinnovare il territorio dal punto di vista urbanistico». Scettico, invece, il sociologo Duccio Scatolero, secondo il quale «ricostruire dal niente concentrati abitativi e un'esperienza che non è andata a buon fine. Ho visto operazioni del genere in Francia - spiega Scatolero - con la costruzione di città satellite: sono diventate città ghetto. Io credo che se perdessi l'abitazione in un sisma, rivorrei casa mia. Se le case sono cresciute nella storia è bene rispettare quella storia e fare tutti sforzi per recuperare tutto il recuperabile». La polemica è aperta. Cosa ne pensate voi?