Salute: nuovo nome cercasi per Bpco, 1 italiano su 2 non sa cos'e'
Verona, 22 mar. (Adnkronos Salute) - La Bpco, alias broncopneumopatia cronica ostruttiva, da sesta causa di morte nel mondo e' destinata a diventare il terzo killer del pianeta entro il 2020. Eppure quasi un italiano su 2 (45%) non sa cos'e', il 40% crede che sia una patologia rara, un terzo e' convinto che per guarire bastino un paio di settimane di antibiotici, e piu' di 60% ignora che soffrirne puo' portare alla disabilita'. Un paradosso grave, tanto piu' che gli italiani malati di Bpco sono 3,6 milioni, con costi miliardari per il Servizio sanitario nazionale. Ma gli esperti fanno 'mea culpa' e ammettono: "E' verosimile che molte delle 'sfortune' della Bpco dipendano dal terribile acronimo che abbiamo scelto per definirla. Ribattezzarla ora e' complicato, ma sarebbe la cosa piu' intelligente da fare" per sfondare il muro di incomprensione che finisce per ostacolare diagnosi e terapia. A lanciare la provocazione e' Roberto Dal Negro, direttore dell'Unita' operativa di pneumologia dell'Ulss 22 veneta di Bussolengo. Rispondendo all'Adnkronos Salute a margine del convegno 'L'innovazione Gsk nella cura di asma e Bpco', in corso oggi e domani nella sede di GlaxoSmithKline a Verona, Dal Negro denuncia: se la broncopneumopatia cronica ostruttiva e' ancora oggi una sorta di "malattia fantasma", sottotrattata e ancor prima sottodiagnosticata (un malato su 3 che per colpa della Bpco finisce in pronto soccorso non sa nemmeno di soffrirne), e' anche perche', "fra tutti i nomi che potevamo trovare per chiamarla, probabilmente la scelta e' caduta sul peggiore". Un problema che il medico ha voluto portare all'attenzione della comunita' scientifica internazionale: "In un articolo che ho pubblicato di recente, proprio sulla scarsa conoscenza della malattia nella popolazione generale, ho concluso proprio con una riflessione su questo punto. E ho proposto di lavorare per rimediare all''errore'. Finora non e' successo nulla - osserva l'esperto - ma il problema rimane e, anche se cambiare nome a una malattia richiede un lavoro lungo e condiviso, in prospettiva non sarebbe disdicevole pensare di intraprenderlo" per il bene dei malati.