Nel nome di Mattarella
DiMartedì, "sentire un Senaldi che...". La vergogna di Damilano, e Senaldi sbotta: "Non siamo al bar, chiedi scusa"
"Sentire un Senaldi che...". Marco Damilano, direttore dell'Espresso, arriva all'insulto in studio a DiMartedì, su La7, e Pietro Senaldi, in collegamento, lo rimbrotta a tempo di record: "Io sono un cittadino, non un Senaldi, non puoi dire così".
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Da Giovanni Floris si parla ovviamente ancora di Quirinale. "Il grande sconfitto è sicuramente Matteo Salvini. E la sconfitta è la parola. Se perde peso, se puoi dire tutto e il contrario di tutto, e Salvini ha fatto questo...". Interviene il condirettore di Libero Senaldi: "E Mattarella?". L'allusione è chiara: il presidente della Repubblica ha accettato il bis dopo aver ribadito per mesi la sua volontà di non restare al Colle e ritirarsi a vita privata.
"Mattarella ha detto 'giorni difficili', 'emergenza', 'senso del dovere', 'imposizione'. Non sono parole di vittoria. E che una persona della cultura cattolico-democratica come Mattarella, una cultura politica che tiene insieme il massimo del rispetto istituzionale e il massimo del movimento della società, sia costretto a sentire un Senaldi che gli dice che si è rimangiato la parola e a subire un attacco...". E Senaldi, chiamato in causa in maniera poco elegante, esplode: "Io sono un cittadino Damilano, non 'un Senaldi'. Cosa significa? Un insulto? Un complimento? Per favore, non siamo al bar, non è un modo di parlare... Non ho mai parlato di te come di 'un Damilano'".
"Sì, è poco rispettoso diciamo. Lo facciamo passare come uno scherzo tra colleghi", interviene Floris, un po' imbarazzato. "Ti chiedo scusa se ti sei sentito offeso", è la replica di Damilano. "Scuse accettate, purché non replichi", chiude il caso Senaldi. Ma l'amarezza rimane, così come la sensazione che sia vietato criticare chiunque sia sostenuto dal centrosinistra, in tutte le sue declinazioni politiche e mediatiche.