Il Senatùr ha deciso: divorzio da Berlusconi e Tosi

Andrea Tempestini

Cinico con Silvio Berlusconi, perché «se si ritira abbiamo risolto il problema». Addirittura gelido con il sindaco Flavio Tosi: «Non mi pare possa presentare una lista civica con il suo nome. Sarebbe danneggiare la Lega». Umberto Bossi alza i toni, in una giornata ricca di appuntamenti lumbard. Di buonora, riunione del Parlamento del Nord a Sarego (Vicenza). Poi, vertice della Liga Veneta a Padova, per decidere di congresso ed elezioni amministrative. Quindi, in serata, comizio di Bossi, Calderoli e Maroni in quel di Bergamo. Il Senatur osserva: «Se non c’è più Berlusconi anche noi dovremo renderci conto della necessità di trovare un’altra strada. Meglio, così diventeremo il partito di maggioranza assoluta del Nord». D’altronde, aggiunge il leader, «il primo obiettivo è sempre stato questo. Finora è stato sempre impossibile». Frasi che si accompagnano alla fucilata anti-Pdl firmata Calderoli: «Se verrà sostenuto il governo Monti la Lombardia e il suo governatore Formigoni vanno a casa» tuona l’ex ministro della Semplificazione. Bordate su cui il centrosinistra inzuppa il pane («il governatore ne prenda atto» osserva il deputato Pd Enrico Farinone), mentre Maroni - entusiasta per la scelta della Lega di correre da sola alle Amministrative - frena: «In Lombardia manterremo l’impegno preso nel 2010», anche se «adesso si apre una fase nuova» e che prevede un Carroccio con le mani più libere. Resta sempre il problema delle divisioni interne, con i maroniani e il cerchio magico (i colonnelli vicini alla famiglia del Senatur) in durissima e permanente contrapposizione. Bossi, interrogato sul tema, risponde: «Da Miglio in poi abbiamo sempre evitato le correnti perché ci farebbero diventare un partito come gli altri. Le tensioni ci sono sempre in un partito politico, questo sì, ma ciò non significa che si arriverà a una rottura». Eppure il nervosismo è evidente. Basta allungare l’orecchio verso Verona, dopo l’altolà di Umberto alla lista Tosi. A caldo, il sindaco scaligero fa il diplomatico («troveremo un accordo»), ma poi - quando si presenta a Padova per la riunione della Liga - sbotta: «Tutta colpa delle tensioni interne», moltiplicate in vista del congresso regionale (che i padani chiamano nazionale). Tosi vuole sostituire il leader della Liga Giampaolo Gobbo (vicino al cerchio magico), che non a caso è tra i più fieri oppositori della lista del sindaco. Il quale potrebbe usare un eventuale successo elettorale per scalare più agevolmente il partito. Quella veneta è una partita delicata, esattamente come quella che si gioca in Lombardia, dove l’assise per rinnovare i vertici sarà celebrata dopo il 7 maggio. Ad Amministrative archiviate. Una scelta che non convince completamente i maroniani, perché al di là delle dichiarazioni di facciata speravano nel congresso a marzo, esattamente come fatto in Piemonte da Roberto Cota. Il partito ribolle ma Bossi deve guardare a Roma, dove nei prossimi giorni ha in programma un incontro col premier Mario Monti. All’ordine del giorno lo statuto veneto del governatore Luca Zaia (impugnato dal consiglio dei ministri) e la faccenda delle quote latte. Da escludere un ammorbidimento del Carroccio: «Basta guardarsi intorno», osserva Bossi, per capire che questo esecutivo è il peggiore per il Nord come ha titolato la Padania di ieri. «Per il momento non c’è possibilità di dialogo» taglia corto Umberto. Maroni aggiunge: «Il giudizio della Lega sul governo è assolutamente negativo», perché ha preso solo «misure recessive». Venti di bufera in Senato: Calderoli ha annunciato che sull’articolo 18 «c’è una mia risoluzione che credo verrà messa ai voti, dove si dice che il governo deve impegnarsi a garantire e mantenere i diritti dei lavoratori previsti dal loro statuto e in particolare quelli dell’articolo 18». di Matteo Pandini twitter @padanians