Ecco come far crescere il Pil
Era stato Antonio Catricalà, lo stesso che venerdì ha magnificato i contenuti del decreto sulle liberalizzazioni, a individuare, in qualità di presidente dell’Antitrust, il vero intervento in grado di rimettere in moto l’economia italiana: il taglio del costo della burocrazia. «Se riuscissimo a ridurre i costi del 25% avremmo l’1,7% di Pil in più», rivelò a Porta a Porta. In quell’occasione, l’attuale sottosegretario di Palazzo Chigi quantificò in 61 miliardi di euro all’anno la spesa sul groppone delle imprese italiane a causa dell’inefficienza della macchina statale. Una macchina che «non dà un buon servizio». Numeri in linea con quanto emerso, lo scorso agosto, da uno studio della Cgia di Mestre e, in precedenza, dalle ricerche di Confartigianato e Unioncamere. L’associazione degli artigiani veneti stimò «in almeno 50 miliardi di euro all’anno» il costo dell’inefficienza della macchina burocratica italiana. Colpa di una Pubblica amministrazione colabrodo, che nella classifica elaborata dal World economic forum (Wef) sulla qualità delle prestazioni offerte dalle istituzioni statali, occupa appena il 97esimo posto. Il fanalino di coda dell’Europa, visto che tra i Paesi economicamente più avanzati solo la Russia sta messa peggio. I più virtuosi, neanche a dirlo, sono i tedeschi. Ebbene, aggiunge la Cgia di Mestre, se la nostra burocrazia fosse come quella di Berlino, il risparmio sarebbe addirittura di 75 miliardi di euro all’anno. A incidere di più è la spesa media per il personale e per i servizi di funzionamento, che nel quinquennio 2005/2009 è stata pari a 248 miliardi di euro: il 16,4% del Pil. Un rapporto superiore a quanto registrato in Spagna, Austria e Germania. A scontarne gli effetti sono soprattutto le piccole e medie imprese, ovvero la parte più rilevante dell’economia italiana. Sempre la Cgia ha calcolato che le pmi sprecano ogni anno 11,5 miliardi, quasi un punto di Pil, per far fronte agli adempimenti burocratici derivanti dalla loro attività. Per Unioncamere, ogni azienda paga mille euro al mese per far fronte alle varie incombenze. Confartigianato ha quantificato, tanto per cominciare, in 1.134 euro la spesa iniziale per avviare un’impresa. Il 67,2% in più rispetto alla media dell’Unione europea. Il carico dovuto a lungaggini e cavilli è inversamente proporzionale alla grandezza dell’impresa. Si perdono 5,5 giorni per ciascun addetto nelle realtà produttive con un numero di dipendenti che va da tre a cinque; 5,2 per le aziende da 6 a 9 addetti; 4,8 per le imprese da 10 a 19 dipendenti; 3,7 in quelle che contano da 20 a 49 occupati e 3,1 per le aziende che impiegano tra le 50 e le 499 persone. Il peso dell’inefficienza si avverte soprattutto nelle Regioni che, al contrario, dovrebbero fungere da locomotiva economica. La classifica delle zone più tartassate dalla burocrazia pubblica, infatti, vede in testa la Lombardia con un costo di oltre due miliardi di euro ogni dodici mesi. Subito dopo ci sono Lazio, dove le imprese spendono in burocrazia 997,4 milioni l’anno; Veneto (995 milioni); Emilia Romagna (951 milioni) e Piemonte (860 milioni). A livello di macro aree, Confartigianato ha calcolato che la quota più onerosa di burocrazia grava sulle regioni del nord-ovest (4,1 miliardi, pari al 30% del totale nazionale). A seguire ci sono le regioni del Mezzogiorno (3,5 miliardi, il 26% del totale), quelle del nord-est (3 miliardi, corrispondenti al 22%) e, infine, del centro (2,8 miliardi, pari al 21%). Per le microimprese, quelle fino a nove dipendenti, un sistema a “burocrazia zero” permetterebbe di aumentare la produttività del 5,8%, colmando del 53,7% il gap di produttività che le separa da Francia, Germania e Spagna. Poi ci sono i costi per le famiglie: per la Cgia di Mestre in Italia gravano su ogni cittadino ben 5.420 euro di spese per mantenere in piedi la nostra pubblica amministrazione.