Bossi detta la linea padana: "Libertà di voto"
Bossi frena sull’arresto di Cosentino e dà libertà di coscienza. È successo ieri sera, pochi minuti prima delle 21. La Camera si esprimerà oggi. Lunedì Roberto Maroni aveva annunciato quanto deciso dalla segreteria politica del Carroccio: «Non c’è fumus persecutionis, voteremo per le manette». E invece, il Senatur ha corretto il tiro: «Quando si tratta di arresti, bisogna stare tranquilli. Nelle carte non c’è nulla. Lascio libertà di coscienza». Pensare che è proprio lo scenario su cui avevano ragionato nel quartier generale pochi giorni fa, ma Roberto Calderoli era intervenuto: «No, meglio avere una linea chiara e decisa». All’unanimità, con Bossi presente, era arrivato il via libera alla galera. Alla fine del vertice, Marco Reguzzoni non aveva aperto bocca davanti ai cronisti. Lasciando l’incombenza al “nemico” Maroni. Poi, però, erano cominciati i distinguo a dimostrazione che il partito è una polveriera. Scatenati i parlamentari del cerchio magico, cioè i colonnelli vicini alla famiglia del Senatur. Paola Goisis. Giacomo Chiappori. Poi anche Luca Paolini, che siede nella Giunta per le autorizzazioni. Tutti a frenare. A dire che aspettavano le indicazioni di Bossi e non «del deputato Maroni». E che alla fine Cosentino non sembrava così colpevole. Nelle ultime ore, mentre Silvio Berlusconi ha martellato i vertici del Carroccio sperando di salvare il suo coordinatore regionale, nella Lega s’è allargata la frattura interna. Con il clan di Gemonio che ha brigato per mettere in difficoltà Bobo e sconfessarlo fuori e dentro il partito. Dài e dài, il Senatur è entrato a gamba tesa. LA STIZZA Anche perché, oltre alla vicenda Cosentino in sé, il leader è sinceramente stizzito per la vitalità dell’ex ministro dell’Interno, accusato di tramare ai suoi danni. C’è da dire che quello sull’arresto dell’azzurro non può essere catalogato come un semplice scontro tra fazioni. La materia, delicatissima, ha davvero turbato più di un leghista. E deputati vicini a Maroni come Giancarlo Giorgetti o Gianni Fava erano pronti a salvare il collega berlusconiano. Una scelta per difendere i politici «dagli attacchi della magistratura». Fatti due conti, però, sui 59 lumbard a Montecitorio le truppe cerchiste - anche con rinforzi improvvisati - non sarebbero andate oltre le dodici unità. Quindici al massimo. Il tutto prima dell’intervento del Senatur, che questa volta potrebbe essere meno decisivo per spostare gli equilibri. Soprattutto in caso di voto segreto. Di certo ha già sortito l’effetto di sconfessare Maroni, che ieri ha incontrato i parlamentari e ha cenato a Roma. Sui rapporti col Pdl aveva detto: «Non siamo più costretti a ingoiare rospi». IL CASO PAPA Il contrordine di Umberto non sorprende. D’altronde anche su Alfonso Papa (poi mandato in cella col voto dei lumbard) il leader padano aveva alternato in poche ore dichiarazioni garantiste («niente manette senza processo») e uscite forcaiole («credo che la Lega voterà per l’arresto»). In seguito, i padani salveranno Marco Milanese. Alcuni parlamentari che guardano all’ex ministro dell’Interno allargano le braccia sconsolati. E raccontano un altro episodio. Vicino a Milano c’è in ballo la costruzione di un nuovo centro commerciale da 10mila metri quadrati. Come opere accessorie, cioè quelle che il privato realizza per la collettività e in cambio del via libera alle ruspe, c’è un giardino attrezzato con giochi per bambini. Ecco, pochi giorni fa il Senatur s’è inferocito perché gli avevano raccontato che i lumbard stoppavano il progetto di un parco per i più piccoli. Gli avevano taciuto della colata di cemento da spalmare tutto intorno. Il leader aveva alzato il telefono urlando all’indirizzo dei suoi, che poi hanno sudato sette camicie per spiegargli come stavano le cose e convincerlo che era giusto bloccare il progetto. È un episodio che viene raccontato per testimoniare quanto il leader sia influenzabile e, soprattutto, incapace di correre dietro a tutti i problemi che assillano la Lega. Anche se, negli ultimi giorni, un’idea chiarissima ce l’ha. Non regge più Maroni. Sul conto dell’amico di una vita ne ha sentite di tutti i colori. «Bobo deve parlargli da solo e tutto si sistemerà, fino al prossimo martellamento del cerchio magico...» sussurra un parlamentare. Il capo indiscutibile della Lega, però, non esiste più. Oggi, dalle 9 alle 10, su RadioPadania microfoni aperti sul caso Cosentino. di Matteo Pandini twitter@padanians