La rivolta di partiti e sindacati

Lucia Esposito

Il nodo pensioni sta mettendo in subbuglio i partiti, tutti temono le misure da Casini che professa il massimo sostegno a Monti, al Pdl che lo ha appoggiato con "beneficio di inventario". Il punto è proprio politico: come far digerire all'elettorato misure impopolare. Inevitabile pensare al futuro: la tecnica - come scrive la Stampa - è quella di cadere dalle nuvole lunedì, fare gli sprovveduti, allargare le braccia e sostenere che con il professore non si tratta. Con i sindacati sulle barricate, inoltre, la sinistra è del tutto spaccata. Leggi qui sotto l'articolo di Tommaso Montesano Sindacati e sinistra radicale l’hanno già avvisato, Mario Monti: le pensioni non si toccano. Pier Luigi Bersani, invece, ha scelto la via della prudenza: «Su alcuni punti potremmo essere d’accordo, su altri no». C’è da capirlo, il segretario del Partito democratico: sui provvedimenti anti-crisi più scottanti che sta mettendo a punto il premier, riforma previdenziale in primis, è stretto tra l’incudine e il martello. Da una parte c’è la necessità di non rompere con tutto ciò che sta alla sua sinistra, inclusi i dissidenti interni, dall’altra il dovere di sostenere quel “governo di emergenza” che il Pd ha contribuito a far nascere. Il risultato è un partito diviso e indeciso, che oscilla tra il massimalismo della Cgil e il rigore. Bersani ufficializza la tattica della “melina” al termine di una giornata in cui il fronte contrario all’intervento sulle pensioni fa la voce grossa. «Il governo deve sapere che 40 è un numero magico e intoccabile e mi pare che questo sia esaustivo della discussione», taglia corto Susanna Camusso, segretario generale della Cgil. Il riferimento è alle indiscrezioni sulle misure cui starebbe lavorando il governo in tema di previdenza. Soprattutto sul ventilato innalzamento della soglia minima - da 40 a 41-43 anni di contributi - per usufruire della pensione di anzianità. E Camusso, seguita della sinistra radicale, non ci sta: «Il governo chiami le parti sociali e ponga il tema di quali scelte intende fare e come intende discuterne». La priorità, infatti, per Corso d’Italia resta la patrimoniale. E se così non sarà, è ipotizzabile che la Cgil, come già invoca Paolo Ferrero, numero uno di Rifondazione comunista, scelga la strada dello sciopero generale per contrastare quelli che Vera Lamonica, segretaria confederale con delega al Welfare e alla previdenza, definisce «puri e semplici interventi di cassa, senza alcun profilo di discontinuità rispetto a quanto avvenuto nel recente passato». Ovvero con il governo Berlusconi. Una linea dura che accomuna non solo l’Italia dei valori, che con il capogruppo a Montecitorio Massimo Donadi chiede al governo di spostare «il peso fiscale dal lavoro e dalle pensioni alle rendite», ma anche, oltre alla sinistra radicale, settori del Pd. Come l’ex ministro del Welfare Cesare Damiano, ad esempio, che oggi sulle pensioni illustrerà insieme al collega Pier Paolo Baretta la sua proposta di legge alternativa. «Riteniamo che non sia proponibile un intervento sulle pensioni di anzianità», sostiene il deputato. Che dopo aver ricordato che non si può costringere a continuare a lavorare, «se non in termini volontari, chi ha totalizzato 40 anni di contributi», invita l’esecutivo a non abbandonare «la strada della concertazione con le parti sociali». E comunque, incalza, il governo pensi «ai grandi patrimoni, alle transazioni finanziarie e alle rendite» piuttosto che alla previdenza, settore sul quale sono stati già «realizzati» risparmi. Il guaio, per Bersani, è che la pensa così anche la maggior parte degli elettori del Pd. Basta fare un salto sul sito del segretario, dove sotto il video in cui Bersani tesse le lodi del governo Monti («una grande squadra che rasserena il Paese»), i commenti al vetriolo sulle scelte filo-rigoriste del Pd si sprecano. «Ha perso il senso della realtà», scrive Elena, mentre Raoul invita Bersani «a pettinare le bambole» e Antonio dice «basta con questo stillicidio sulle spalle dei lavoratori». Così il segretario annaspa. «Non voglio commentare le indiscrezioni», prova a prendere tempo prima di ribadire che il giudizio del Pd «sarà sul tasso di equità: chi ha di più, deve dare di più». Molto meglio prendersela con l’avversario di sempre, il Pdl, accusato di «condizionare il governo» con i paletti posti sulla patrimoniale. Da qui la replica di Maurizio Lupi, vicepresidente della Camera: «Invece di usare toni esagerati e argomentazioni prive di fondamento, suggerisco al Pd di non affogare nel pantano delle pensioni». Intanto Monti va avanti. E ai sindacati fa sapere che pensa di «agire rapidamente». Diversamente, «le conseguenze sarebbero molto gravi per tutti». Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, applaude: «Ormai di intoccabile non c’è più niente. Certamente credo che vadano toccate le pensioni». di Tommaso Montesano