Il Cav gode: "Sono invincibile"
Un incontro di poco meno di 40 minuti, per ribadire che il governo terrà di sicuro fino al 2012. Poi si vedrà. Silvio Berlusconi è salito al Quirinale per fare il punto della situazione con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano dopo la turbolenta mattinata che ha visto il governo incassare la fiducia a Montecitorio: 316 sì, 301 no. Il caos scoppiato dopo il ko dell'esecutivo di martedì sull'articolo 1 del Rendiconto finanziario aveva messo in forse la permanenza a Palazzo Chigi del Cavaliere. Che è però uscito dal voto, paradossalmente, più forte. Un risultato di riflesso, visto che con le ossa rotte si ritrova più che altro l'opposizione, divisa e sfilacciata con Bersani e Pannella ai ferri corti. Il governo, coi suoi 316 sì e il brivido sul numero legale, però, guarda alle prossime sfide con una certa apprensione. Inutile negarlo: con questa maggioranza, a meno di allargamenti o cambi di passo (come ha chiesto Claudio Scajola), è difficile pensare di arrivare a fine legislatura nel 2013. E il giro di nomine post-voto è una spinta blanda al futuro. "Silvio, batti un colpo". Il videoeditoriale di Maurizio Belpietro su LiberoTv Ostacolo referendum - Forse, però, a Berlusconi va bene così. Numeri alla mano, il Cav sa che per accontentare i maldipancisti sempre più decisivi dovrà ridisegnare il Pdl, ridimensionare Giulio Tremonti e, ultima richiesta, fare un passo indietro. Che però Berlusconi non farà mai per non cedere campo a governi tecnici e ambizioni montezemoliane. La sua idea è cedere solo quando sarà in posizione di forza non solo sugli avversari, ma pure sugli alleati. Un limite temporale potrebbe essere il referendum sulla legge elettorale, che il premier vorrebbe evitare di affrontare ancora in carica perché prevede al momento una bocciatura ad personam, come accaduto con i referendum su acqua e nucleare. Eccolo, dunque, l'obiettivo verosimile: arrivare alle urne anticipate in primavera. Lo auspica anche Umberto Bossi, perché più si allungano i tempi, più Bobo Maroni gli sottrarrà potere decisionale e forse la stessa leadership del Carroccio. La nota del Quirinale - Con Napolitano, Berlusconi ha fatto anche il punto sull'erede di Mario Draghi a Bankitalia. Top secret il contenuto del confronto: restano sempre in ballo i nomi di Saccomanni, Grilli, Bini Smaghi. Di sicuro, il presidente della Repubblica ha riferito al premier e al sottosegretario Gianni Letta quanto scritto nel pomeriggio ai capigruppo del Pdl. E cioè che il governo non era tenuto a dimettersi dopo l'inghippo sul rendiconto finanziario, ma che il ricorso al voto di fiducia "non dovrebbe comunque eccedere i limiti", fatto che comporterebbe una "inaccettabile compressione delle prerogative delle Camere". Se da un lato Napolitano riconosce a Berlusconi una condotta corretta, dall'altro denuncia i rischi per il governo. La "verifica parlamentare - ha aggiunto il presidente - era necessaria, ma non c'era obbligo giuridico di dimissione" a seguito della "reiezione" del Rendiconto. A preoccupare il Quirinale è invece "il contesto più generale in cui si è inserita la mancata approvazione dell'art. 1". Una preoccupazione che nasce a causa dell'"innegabile manifestarsi negli ultimi tempi di acute tensioni in seno al Governo e alla coalizione, con le conseguenti incertezze nell'adozione di decisioni dovute o annunciate".