Penati ammette: il partito prese soldi. Perché il Pd tace?
E dunque Filippo Penati, passato direttamente da grande risorsa a motivo d’imbarazzo per il centrosinistra lombardo (e non solo), si è seduto davanti al pm e ha detto la sua. Ha ribattuto alle accuse della Procura di Monza, che l’ha indagato per concussione e corruzione e finanziamento illecito al partito. E lo considera emblema di quel sistema Sesto - da Sesto San Giovanni, un tempo culla del progressismo alla lombarda - quel sistema, dicevamo, che per anni avrebbe coniugato malaffare e malapolitica. Penati ha negato di essersi comportato così come viene dipinto negli atti. Ha negato di aver intascato personalmente le tangenti ipotizzate. E però una cosa, a quanto è dato sapere, l’avrebbe dichiarata: in sostanza, Penati sarebbe stato a conoscenza del fatto che Piero Di Caterina - l’imprenditore che sostiene d’aver foraggiato per anni gli allora Democratici di Sinistra e Penati in particolare - avesse effettivamente versato soldi al partito, sia pur a livello locale. Affermazione che a qualcuno può suonare strumentale ai fini di uno scarico di responsabilità, ma questa è questione eventualmente processuale. E però, insomma, pone soprattutto un problema politico. Anche perché a gettare quest’ombra sul più importante partito della sinistra - allora Ds, oggi Pd - non è un rappresentante di seconda fila, ma colui che ha salito i gradini della nomenclatura fino a diventare braccio destro dell’attuale segretario Bersani. E dunque, qualche reazione dal partito stesso? Macché, nessuno dice nulla. Mutismo assoluto. Cioè, un tuo pezzo grosso dice che per le campagne elettorali il partitone accettava soldi anche sottobanco - o comunque da una persona che dichiara d’averli versati in maniera non certo trasparente - e non s’ode replica. Quel che si dice un silenzio assordante. di Andrea Scaglia