La spaccatura dem
Elly Schlein allo sbando: ecco come minaccia il Pd
A sera, al termine di una lunga giornata, è lei a mettere il sigillo: «Serve un chiarimento politico, le forme e i modi li valuteremo». Le parole di Elly Schlein traducono, con modi urbani, quello che, i suoi, le martellano da 48 ore: «Elly, fai il congresso. Chiedilo tu e li asfalti. Vogliono un chiarimento politico? Bene, facciamolo. Ma con le regole dello Statuto». Cioè con le primarie, dove votano anche i non iscritti. E, dicono, la valanga li travolgerà. O anche solo con gli iscritti. Tanto, ormai è largamente maggioritaria pure nei circoli. Altro che conferenza programmatica o congresso tematico. E stavolta scordatevi segreterie unitarie. Stavolta, chi vince, guida.
Questo, detto un po’ brutalmente, è il ragionamento che, ieri, girava dalle parte dei fedelissimi di Schlein, dopo il mercoledì nero che ha visto spaccarsi a metà la delegazione del Pd al Parlamento europeo nel voto sulla risoluzione non vincolante riguardante il libro bianco della Difesa e contenente il famigerato ReArm Europe Plan. Un discorso che, a leggere tra le righe della frase pronunciata dalla stessa segretaria a sera, ha fatto breccia. Non è detto che davvero farà un congresso. Ma non intende farsi logorare. Anche perché Elly Schlein è molto irritata per quello che considera un atto di rivolta intollerabile, ossia la decisione di 10 eurodeputati di votare a favore della risoluzione, non seguendo l’indicazione dell’astensione, ma soprattutto da quel che ne è seguito, ossia la richiesta fatta da più parti di un “chiarimento”. I più longevi del Pd hanno capito l’antifona: il conto alla rovescia è cominciato. Del resto, la media di durata dei segretari del Pd è di due anni. E Elly li ha passati. Da qui, il consiglio: non farti cuocere a fuoco lento, ribalta il tavolo. Tanto, dicono, non hanno nessuno da metterti contro.
Sempre a corollario di questo ragionamento, le si è suggerito, intanto, di azzerare la gestione unitaria del Pd e di fare una nuova segreteria. Lei, per ora, non ha deciso. Ma, certo, è infuriata per quanto avvenuto. E preoccupata per quello che potrebbe accadere la prossima settimana, quando il 18 al Senato e il 19 alla Camera, si voteranno le mozioni sulle comunicazioni del presidente del Consiglio in merito al Consiglio europeo previsto il 20 e il 21 marzo a Bruxelles. A Strasburgo la segretaria non è andata in minoranza solo grazie al soccorso degli “indipendenti”, che, pur volendo votare contro, si sono astenuti solo per darle una mano. Ma in Italia? Cosa faranno i riformisti? È vero che qui è aiutata dal sistema elettorale. Se gli europarlamentari sono arrivati a Strasburgo grazie alle preferenze personali (e per questo Schlein ha candidato molti nomi della minoranza, essendo gli unici con i voti), nel Parlamento italiano gli eletti devono dire grazie al segretario (o al capocorrente) che li ha messi in lista. Avranno i riformisti dem del Parlamento italiano la stessa libertà dei colleghi europei? Vero è che la maggioranza proverà a fare una risoluzione che “tenti” i riformisti.
Dalla parte della minoranza, in ogni caso, il congresso non spaventa. I riformisti di Libertà Eguale hanno fatto un card sui social con i nomi dei 10 eurodeputati che hanno votato a favore della risoluzione, preceduto da un “GRAZIE” in caratteri cubitali. E la chiosa: «Con il vostro voto europeista avete salvato l’orgoglio dei riformisti». Piero Fassino, ieri, ha detto che «la scelta dell’astensione è incomprensibile», «sbagliata per ragioni di merito e per ragioni politiche». «Non si può sbagliare su questo terreno, perché ti giudica il mondo». E ancora più duro è stato Claudio Petruccioli, già senatore dell’Ulivo, secondo cui la segretaria, «sulla distinzione tra difesa europea e piano di riarmo, mente sapendo di mentire» e, dunque, «se non si apre una battaglia politica su questo tema il Pd è finito». Per non dire di Arturo Parisi, fondatore dell’Ulivo e del Pd, che, su Huffington Post, ha descritto il Pd come un partito “paralizzato”, che «danneggia il paese, blocca la democrazia.
Se non si capiscono le ragioni per resistere, tanto vale arrendersi». Se da una parte minacciano il congresso, dall’altra siamo già oltre e si pensa a come voltare pagina. «Non possiamo stare in Europa dalla stessa parte della Lega». Quanto all’idea di ribaltare il tavolo per rafforzarsi, «ricordiamoci che il Papeete non porta bene...». E ai fedelissimi di Schlein convinti che non ci sia nessuno in grado di sfidarla, si risponde con due nomi: Pina Picierno (e sarebbe una sfida tutta tra donne), la coraggiosa vicepresidente del Parlamento europeo, arrivata da Bruxelles dopo una gavetta iniziata nei Giovani Democratici e alcuni giorni fa finita nel mirino del giornalista russo amico di Putin, e poi Antonio De Caro, ex sindaco di Bari, che fatto il pieno di preferenze nelle elezioni europee. Insomma, se si vuole la guerra, il campo è pronto e i generali pure. Ma l’impressione è che, da entrambi le parti, si preferirà aspettare.
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